Eccoci qui alla tanto agognata settimana del cinema, che settimana non è. Si tratta infatti dei CinemaDays, quattro giorni (dal 12 e fino a giovedì 15) nei quali in numerose sale cinematografiche italiane sarà possibile pagare il biglietto d’ingresso soli 3 sacchi.
Ma cosa offre la programmazione nazionale in questa speciale non-settimana?
Beh, un sacco (o tre sacchi?) di film italiani, ovviamente e giustamente. Oltre a Suburra, in uscita proprio oggi e del quale parleremo dopo il salto, da domani in sala troveremo La Nostra Quarantena di Peter Marcias, Rosso Mille Miglia di Claudio Uberti e Leone nel Basilico di Leone Pompucci.
C’è spazio anche per i film stranieri sugli sbarbatelli incastrati nei labirinti, i vecchiarelli incastrati negli stage e i quadretti incastrati nel governo, anche se il piatto forte della settimana è un’aragosta in salsa greca.
Di cosa sto parlando? Ve lo spiego dopo il salto, in una tartarre di polliciotti colorati.
Suburra
(da 14 Ottobre)
Suburra è innanzitutto un film di Stefano Sollima, regista già conosciuto per A.C.A.B. e Gomorra – La Serie e uno dei talenti italiani di cui andare fieri, forse proprio perché si è distaccato da quella pesante italianità popolare e ne ha costruita una tutta sua, molto più contemporanea e competitiva.
Nel cast troviamo Pierfrancesco Favino, Elio Germano e Claudio Amendola. Sì, dentro a cotanta romanità la domanda che ci siamo fatti tutti è la stessa: che fine ha fatto Ricky Memphis?
Suburra, il film, prende il nome da un antico quartiere di Roma nel quale la popolazione viveva in condizioni miserevoli. Per questo il termine “suburra” è passato ad indicare una zona malfamata, criminale, corrotta. Ed è proprio la panna di merda (in questo caso immaginaria, ma sai com’è…) che ricopre la città caput mundi ad essere la vera protagonista di questo film corale, tratto dal romanzo omonimo di Carlo Bonini (noto per il soggetto di Vallanzasca e dello stesso A.C.A.B.) e Giancarlo De Cataldo (autore, tra gli altri, del romanzo Romanzo Criminale). E tutto torna.
Dov’è Gatteo Marrone?
Nonostante l’entusiasmo iniziale, giustificato e doveroso, il polliciotto è giallo perché a leggere sempre gli stessi nomi sembrerebbe che in Italia di persone valide ne abbiamo tre o quattro in tutto (e non credo sia così) e perché, a leggere sempre le stesse trame, pare che sappiamo fare solo film su mafia, criminalità e corruzione. Per carità, queste ultime son cose nelle quali, almeno a sentire i notiziari, abbiamo davvero talento, però magari nel cinema potremmo anche immaginare qualcosa di diverso, di nuovo, di illusorio. No? Sto facendo una polemica inutile all’italiana, vero?
The Lobster
Eccolo qua il film della settimana, senza se e senza ma.
Innanzitutto questo film è diretto dall’ateniese Yorgos Lanthimos, che sei anni fa ci aveva sconvolti – pietrificati oserei dire – con il suo Kynodontas (Dogtooth). Lanthimos è qui al suo debutto in lingua inglese e con toni – piacevolmente – piuttosto differenti.
In The Lobster, infatti, si racconta un futuro per niente lontano nel quale essere single oltre una certa età sarà un reato perseguibile per legge: zitelle e scapoloni saranno infatti deportati accompagnati fuori città, in un anomalo hotel, all’interno del quale avranno 45 giorni di tempo per innamorarsi di uno degli altri ospiti. Laddove Cupido non dovesse portare a termine il suo compito entro il tempo stabilito, il/la malcapitata incapace di innamorarsi sarà trasformato/a in un animale a sua scelta ed abbandonato nel bosco poco distante. Assurdo, eh? Ecco, no.
Protagonista della pellicola è Colin Farrell, interprete di David, che, nel caso in cui le cose andassero storte, ha deciso di diventare una aragosta (da cui il titolo del film). Nel cast ci sono anche la strepitosa Rachel Weisz e la nostra adorata Olivia Colman (Broadchurch).
The Lobster vanta un Metascore a 80, un Tomatometer all’89%, ma soprattutto uno scintillante Premio della Giuria vinto a Cannes 2015. Mica ostriche.
Polliciotto verdissimo e tante speranze.
Maze Runner: The Scorch Trials / Maze Runner – La Fuga
Siamo dinanzi al secondo capitolo di Maze Runner, saga tratta dai romanzi young adult di James Dashner, la cui serie vanta (almeno sino ad ora) addirittura sei romanzi. Sei. Quindi mettiamoci comodi ad aspettare la sestologia di boiate che la 20th Century Fox ci propinerà.
Nel primo capitolo un gruppo di sbarbatelli si ritrova inspiegabilmente rinchiuso in un cortile circondato da alte mura che costituiscono, a loro volta, le pareti di un intricato labirinto. Ogni mese uno sbarbatello nuovo viene introdotto in questa radura, fino a che non viene immessa anche una puffetta (Kaya Scodelario) che ovviamente turba (ma neanche tanto, eh) i testosteronici equilibri sociali della evoluta comunità sbarbonica. La pellicola prosegue per ben 114 minuti con un sacco, ma proprio un sacco, di trovate interessanti delle quali non ne ricordo nemmeno una e si conclude con un “può avere inizio la fase due”. Ecco, a occhio e croce questa deve essere la fase due.
Confermate buona parte degli interpreti e la regia di Wes Ball, ma con personaggi del genere neanche Kubrick avrebbe potuto risollevare la situazione.
Polliciotto rosso e tante scuse agli amanti di questa robaccia insipida.
The Intern / Lo Stagista Inaspettato
L’idea che un pensionato settantenne annoiato dalla pensione entri come stagista in una società di moda fa evidentemente sbellicare gli americani, che ne hanno fatto una commedia per la regia di Nancy Meyers. Onestamente la stessa idea mette tanta tristezza addosso a me, che a settant’anni, se ci arrivo, la pensione la vedrò con il microscopico elettronico settato a 5000X. Altro che noia.
Comunque, superata questa questioncina iniziale, The Intern racconta la storia di Ben Whittaker (Robert De Niro, che un tempo era un grande mentre qui è un vecchio), che, annoiato dalla pensione (lo ribadisco perché è un concetto importante), si fa assumere come stagista dalla società di moda di Anne Hathaway, che con il ruolo ha una certa dimestichezza.
Ho come il sospetto che poi Ben, a dispetto dell’età e della scarsa dimestichezza con i mezzi odierni, convincerà tutti grazie alla saggezza accumulata nel tempo perché gli anziani hanno sempre qualcosa da insegnare, per questo bisogna farli lavorare fino a che è possibile. O forse no, ma che ne posso sapere io che la stagista la faccio aggratisse?
Metascore a 51, Tomatometer al 59%.
Microscopio elettronico a 5000X.
Woman in Gold
Woman in Gold, per la regia di Simon Curtin (My Week with Marilyn) racconta la storia vera – anche se a dir poco romanzata – di Maria Altmann (Helen Mirren), una rifugiata ebrea scappata dalla sua casa a Vienna poco dopo l’arrivo dell’esercito nazista. Durante il saccheggio della sua abitazione, i nazisti trafugarono un prezioso dipinto, La Donna in Oro (Woman in Gold) nel quale niente popò di meno che Gustav Klimt aveva raffigurato Adele Bloch-Bauer, zia di Maria. Al termine della guerra il dipinto venne restituito al governo austriaco.
Cinquant’anni dopo i fatti, Maria, sopravvissuta all’Olocausto, si fa coraggio e cerca la sua personale riscossa innescando, fiancheggiata dall’avvocato Schoenberg (Ryan Reynolds), una battaglia legale contro lo stesso governo austriaco per la proprietà del preziosissimo quadro.
Sì, c’è un certo olezzo di commediola buonista, ma c’è anche Tatiana Maslany (Orphan Black) che interpreta Maria da giovane.
Metascore a 51, Tomatometer al 52%, ma dato che ho già sfogato tutta la mia collera su sbarbatelli e vecchiarelli ci piazzo un polliciotto giallo oro e tante belle cose.
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Suburra molto attesa, anche se il titolo è involontariamente comico (sono una brutta persona lo so…), il sequel del labirinto tutto matto… Non so se ho la forza, anche se nel cast c'è Ditocorto 😉 Cheers!
Non sei il solo a pensarla così sul titolo, Cassidy! Ahahah #bruttidentro