Alias Grace è una miniserie televisiva in 6 episodi prodotta da CBC e distribuita da Netflix (in streaming dal 3 novembre 2017) basata sul romanzo L’Altra Grace di Margaret Atwood, adattato per la TV da Sarah Polley. Nel cast Sarah Gadon, Edward Holcroft, Zachary Levi ed Anna Paquin.
Sì, il 2017 è ed è stato l’anno di Stephen King, lo abbiamo scritto e letto decine di volte. Ma c’è un’altra penna, della quale ignoravo l’esistenza (shame!), che si è fatta largo in quest’annata seriale: Margaret Atwood. La Atwood mi ha conquistata, anima e cuore, con il suo Il Racconto dell’Ancella (1985), magistralmente reso nella serie TV della Hulu. A pochi mesi di distanza da The Handmade’s Tale, su di un’altra emittente (la CBC, ma dal 3 novembre su Netflix) un altro lavoro della Atwood fa capolino sul piccolo schermo. Si tratta di Alias Grace, tratto dal romanzo L’Altra Grace (1996).
Un’altra storia, un’altra epoca, la stessa potenza narrativa.
Alias Grace, la trama della miniserie
Siamo nel 1859, in Canada. Grace Marks (Sarah Gadon) sta scontando la sua pena, dopo esser stata processata e condannata, nel 1843, per l’omicidio del suo datore di lavoro, Thomas Kinnear, e della sua governante, Nancy Montgomery. Vista la sua giovane età e le sue condizioni modeste, Grace attira le attenzioni paternalistiche di alcuni benefattori che vorrebbero vederla scagionata.
A far luce sulla vicenda viene chiamato un giovane medico, uno psichiatra ante litteram, il Dr. Simon Jordan, incaricato di scrivere una relazione che potrebbe scagionare la giovane Grace, accusata dal suo presunto complice ed amante di essere una manipolatrice. Grace, così vulnerabile eppure così forte. È una prigioniera, una povera immigrata irlandese, una serva in un mondo nel quale le serve sono soggette ai capricci ed ai desideri dei loro datori di lavoro.
Al Dr. Jordan la bella e sventurata Grace racconta della sua misera infanzia, dei suoi genitori, dei pochi mesi di felicità assieme a Mary Whitney, del fascino di Nancy Montgomery e delle attenzioni, talvolta scomode, degli uomini. Sceglie con attenzione ogni parola, Grace; perché la parola è tutto ciò che le resta. Sceglie le sue parole con molta, troppa attenzione, Grace; sceglie di raccontare al Dr. Jordan ciò che egli vorrebbe sentire.
Chi è Grace Marks? Un’innocente condannata ingiustamente? Un’assassina manipolatrice? Una pazza? Mah, che importa. Alias Grace non vuole fornirci la risoluzione di un crimine (tra l’altro realmente commesso), vuole farci osservare Grace, la povera Grace, mentre cerca l’espressione e la risposta che potrebbero salvarla.
La verità di Grace è stata modificata dal suo avvocato, inferocita dalla stampa, ignorata dai medici del manicomio e distorta dal suo stesso desiderio di salvarsi e forse anche di vendicarsi in un mondo in cui, fin dall’infanzia, è stata esposta al peggio che gli uomini che lo gestiscono hanno da offrire. Ma la grazia è già scritta, è nel suo nome. Grace.
Grace Marks, una storia vera
Il romanzo del 1996 e la recente miniserie sono ispirati ad un reale fatto di cronaca.
Nel 1843, in Canada, Thomas Kinnear e la sua governante, Nancy Montgomery, furono davvero assassinati. Ad essere processati per gli omicidi furono due domestici, James McDermott, 20 anni, e -ovviamente- Grace Marks, 16. McDermott fu condannato a morte per impiccagione, mentre Grace Marks scontò i suoi 30 anni di carcere per poi sparire nel nulla.
La prove verso Grace Marks furono circostanziali e contraddittorie, basate per lo più sulle accuse del suo giovane amante. Durante il processo Grace fu ascoltata più e più volte ed ebbe modo di accennare alla sua infanzia ed alla triste vita che la aveva condotta fino ai presunti omicidi. Non si sa molto di lei, se non che fosse originaria di Ulster, Nord Irlanda.
Prima di nove fratelli, Grace e la sua famiglia si trasferirono in Canada nel 1840, appena tre anni prima del duplice omicidio. Giunta in Canada, Grace era praticamente un’orfana: la madre era morta durante la traversata, mentre il padre era un uomo violento ed alcolizzato. Il modo in cui il Canada trattava gli immigrati all’epoca non le fu certo d’aiuto.
Niente, assolutamente niente nelle parole di Grace Marks lasciò ipotizzare un movente per gli omicidi. Anche per questo le teorie proliferarono durante il processo, che ebbe un clamore mediatico inusitato per l’epoca. Secondo alcuni Grace era affetta da quello che oggi chiamiamo disturbo dissociativo dell’identità; secondo altri la giovane semplicemente simulava una malattia mentale per sfuggire ad una condanna più pesante.
Ma questo è niente…
Presero piede, tra le credenze popolari, altre due assurde teorie. Secondo alcuni Mary Whitney -amica di Grace data per morta un paio di anni prima- aveva rubato l’identità di Grace Marks, che invece era morta.
– C’è un’altra camicia?
– Le darò una delle mie.
Ma l’ipotesi più assurda vedeva la sventurata Grace addirittura posseduta dallo spirito di Mary Whitney, il quale -non è dato sapere perché- la aveva spinta ad uccidere Nancy Montgomery e Thomas Kinnear.
Fammi entrare.
La verità (ammesso che ne esista una) non venne mai fuori. Nonostante questo, Grace Marks fu condannata a 30 anni di reclusione, che scontò dapprima in un manicomio e poi in un vero e proprio carcere. Al suo rilascio, Grace Marks si trasferì a New York, dove fece perdere le sue tracce.
Serve in un mondo di padroni
Proprio quest’anno The Handmaid’s Tale, tratto da un altro romanzo della Atwood, ci ha fatto soffrire e piangere, raccontandoci di un futuro nel quale le poche donne fertili sopravvissute sono relegate al ruolo di “ancelle”, mere schiave sessuali. Alias Grace sembra esser qui a ricordarci che il ruolo di serva non è poi così lontano neanche nel passato: nel suo racconto Grace lascia trasparire la xenofobia cui la sua condizione di immigrata la ha sottoposta sin dall’inizio e le distinzioni di classe che la hanno da sempre relegata al solo ruolo di domestica, mentre lei e Mary Whitney, la cara Mary Whitney sognavano…
Quando avrò risparmiato abbastanza, sposerò un agricoltore giovane e bello, con dei terreni già disboscati e una casa in muratura. So già che tipo di vacche e galline avremo. Voglio delle Leghorn bianche e rosse, e una vacca Jersey per la panna e il formaggio. Sono le migliori. E un gatto di nome Tabby e un cane di nome Rex.
Peseranno, peseranno tanto nel series finale, quel gatto di nome Tabby e quel cane di nome Rex, mentre si bussa sul legno per superstizione.
Ci vuole coraggio per portare su schermo ed attualizzare i romanzi della Atwood. Da un lato infatti The Handmaid’s Tale ci prospettava un futuro buio come pochi, che fonda le sue basi negli angoli più oscuri del nostro presente, quelli che fingiamo di non vedere (“hanno approvato una legge…”). Dall’altro Alias Grace ci racconta l’ambiguità della verità e ce la racconta oggi, in un’epoca nella quale anche quel colosso di Facebook deve correre ai ripari dalle fake news. Alias Grace porta sullo schermo il racconto di una ancella donna e lo fa oggi, proprio oggi, in un momento nel quale le confessioni di alcune donne sono oggetto di un processo mediatico senza scrupoli e -credo- senza precedenti.
Degli occhi e negli occhi di Sarah Gadon
Ad interpretare Grace Marks è Sarah Gadon, che avevamo già conosciuto in 22.11.63 (potevamo non ricitare King? Scherzi?) dove rivestiva il ruolo di Sadie, troppo complesso e mal scritto per renderle giustizia. In Alias Grace la Gadon è strepitosa, perennemente sospesa tra l’essere un angelo caduto in terra ed un diavolo tentatore dal volto pulito.
Senza un filo di trucco, senza uno straccio d’effetto speciale, senza la minima componente horror, Sarah Gadon mi ha letteralmente spaventata semplicemente guardandosi allo specchio nell’ultimo episodio. È una scena che ho rivisto, ad un altro orario, da un altro dispositivo: Grace Marks si guarda allo specchio poco prima di un’altra, l’ultima seduta: i brividi sono stati gli stessi; è la paura, la paura degli e negli occhi di Sarah Gadon, la paura di non sapere con chi si ha a che fare. D’altra parte, sappiamo mai veramente chi abbiamo davanti e allo specchio?
Una forma sublime per un contenuto brutale
Ad adattare il romanzo della Atwood al piccolo schermo è stata un’altra Grace Sarah, Sarah Polley, che abbiamo conosciuto anche davanti la macchina da presa in L’Alba dei Morti Viventi (Snyder, 2004) e nel controversissimo Splice di Vincenzo Natali (2009). A dirigere tutti e sei gli episodi della miniserie troviamo invece Mary Harron, attualmente alle prese con The Family, film incentrato sul caso Manson. E -passamela, dai- il tocco femminile nella scrittura e nella realizzazione si sente eccome.
Il tocco femminile si sente in quella violenza che non è quasi mai visiva, ma squisitamente verbale. Si sente quando il risultato di un aborto clandestino viene descritto dall’odore, “lo stesso che si sente dal macellaio”. Si sente in quel continuo gioco di potere: il potere è il mezzo attraverso il quale gli uomini abusavano (e abusano?) delle donne. Il potere è subdolo, tanto da essere presente anche quando gli uomini non lo sono. Il potere può apparire innocuo, come una delle trapunte cui lavora Grace, una trapunta, però, dai lembi sporchi di sangue. Il potere può nascondersi persino in un letto…
Perché voi, signore, potete pensare che un letto sia una cosa pacifica. Per voi può significare riposo, comodità, una bella notte di sonno. Ma non è così per tutti. Molte cose pericolose possono succedere in un letto. È lì che nasciamo… Affrontando il primo pericolo della nostra vita. È lì che le donne partoriscono, e quello spesso è l’ultimo per loro. Ed è lì che avviene l’atto tra uomo e donna, signore… Di cui non vi dico il nome, ma suppongo che lo sappiate. Qualcuna lo chiama amore… Altre disperazione. Altre semplicemente un’umiliazione che devono subire. E, infine, è nei letti che dormiamo… Sogniamo. E spesso moriamo.
Ma il tocco femminile è soprattutto nelle idee e negli scritti di Margaret Atwood, che ci mette di fronte ad un calendario, ci fa guardare indietro, con Alias Grace, ed avanti, con The Handmaid’s Tale. E quello che vediamo è la verità, l’unica verità possibile: le epoche cambiano, così come cambiano i copricapi, gli idiomi e i carcerieri; ma i tempi no, i tempi non cambiano mai.
È la maledizione di Eva.
E questo è più o meno tutto. Come avrai capito, ho adorato questa piccola grande miniserie. E tu? L’hai seguita? Ti ha conquistato come ha fatto con me? Non mancare di farmelo sapere nei commenti e ricorda che puoi votare il finale questa serie commentando o semplicemente cliccando sulle stelline alla voce “voto dei lettori” nella review. Oppure, se preferisci, puoi rinfrescarti la memoria passando a leggere…
Link utili su Alias Grace, la miniserie tv:
Se questa serie ti è piaciuta, potresti voler rileggere:
Alias Grace (L'Altra Grace), la recensione della miniserie
Titolo originale: Alias Grace
Description: Alias Grace, la recensione della miniserie TV: più che una storia vera, la storia di una verità che parte da un crimine dell'800, passa per il romanzo di Margaret Atwood ed approda sul piccolo schermo grazie a Sarah Polley.
Director(s): Mary Harron
Actor(s): Sarah Gadon, Edward Holcroft, Zachary Levi, Anna Paquin, Rebecca Liddiard
Genre: drama, crime
Stagione: 1
Numero di Episodi: 6
Start Date: 2017-09-25
Country of origin: Canada
- sceneggiatura
- realizzazione
- personaggi
- recitazione
- originalità
- cuore
in sintesi
Non si vive di solo King. Questo 2017 è ed è stato anche l’anno di Margaret Atwood, i cui lavori sono passati dalla carta al piccolo schermo sia con The Handmaid’s Tale (su Hulu la scorsa primavera) che con questo Alias Grace, fortemente voluto dalla sceneggiatrice Sarah Polley. Le due opere hanno ambientazioni e significati differenti, ma condividono la stessa attenzione alla figura della donna e la stessa condanna al potere fallocentrico. La Polley guida un ottimo adattamento, aiutata dalla regia di Mary Harron che racconta la violenza senza inquadrarla. Sarah Gadon, interprete della protagonista Grace Marks, riesce ad intenerire ed intimorire solo con uno sguardo. Alias Grace fa riflettere, fa soffrire e, sì, fa anche un po’ spaventare proprio come la storia vera cui è ispirata.
User Review
(clicca sulle stelline per votare)
( votes)Comments Rating
(lascia un commento con la tua valutazione)
( reviews)
Ehi, grazie di aver letto sin qui. Se questo post ti è piaciuto, puoi supportarmi facendolo girare sui social e sul webbe, perché sì la felicità è reale solo quando...
Condividimi!
L’ho appena conclusa anche io… proprio una bella serie, con intense prove d’attore e molto ben scritta. È l’anno della Atwood ancor più che quello di King 😉
Verissimo. King ha vinto in quantità, ma la Atwood ha portato sul piccolo schermo una qualità ed una profondità che a Ste’, stacce. Ma se Zio Stephen ha anche solo metà della sensibilità che mette nei suoi personaggi femminili, non potrà che esserne contento.
Affascinante, ma quello che in un film di due ore mi avrebbe intrigato in una miniserie di sei mi ha frustrato un po’. Ha senso? La Gadon incantevole e bravissima, ma qualcosa non mi ha convinto, no. Solito period drama senza guizzi, a malincuore, con un mistero che non si svela mai (e quello è il pregio, quello il difetto).
Non so qual è stato il momento esatto in cui ho capito che no, non si sarebbe tentata la “risoluzione”, ma sono arrivata al season finale senza aspettarmela e senza sentirne la mancanza. Mi spiace che non ti abbia convinto… Più ci penso, più quel finale mi conquista.
Mi hai appena venduto la serie, dici bene non è solo l’anno di King, dopo “The Handmade’s Tale” mi voglio fare male anche con questa, Sarah Gadon la trovo brava fin dai film che ha fatto con Cronenberg, invece a te ti trovo bravissima sempre, pezzi come questo in endovena per me grazie. Cheers!
Cocco, cocco freeesco! 😀
Grazie Cass, sei sempre troppo buono. Dalle ancelle alle serve, purtroppo, il passo è breve. Aspetto di leggere la tua opinione, ma già so che Grace Marks ti terrà in pugno.
Ottima serie, non nel mio podio dell’anno, però sicuramente avvincente ed originale.
Sai che non ho ancora pensato al mio podio dell’anno?! Forse neanch’io riuscirei a piazzarci Alias Grace, ma la prima irraggiungibile posizione è occupata da sua sorella maggiore… 🙂
Direi che si tratti di una serie di ottima grana! Molte tematiche interessanti: spiritismo, rapporto fra sesso e potere, violenza istituzionale, ambiguità della figura del terapeuta. Ci ricorda anche che enorme sciagura era rimanere incinta senza una copertura matrimoniale. Il finale che non spiega, ma apre. …leggerò sicuramente il libro! E sì, complimenti anche per il pezzo.
Ciao Costanza!
Grazie, ma devo dire che hai riassunto meglio tu e in poche righe la forza di questa miniserie di quanto abbia fatto io in quattro fogli protocollo… 😀
Fammi sapere com’è il romanzo, se ti va. Anch’io, tempo permettendo, vorrei leggere sia questo che Il Racconto dell’Ancella.
Io ho amato questa serie ma sono solo io a guardare a quanto sono dilatate le pupille del Dr.Jordan?? Per il resto amato dal primo all’ultimo episodio.
Sai che non ho fatto caso alle pupille del dottore? Ero troppo presa da quelle (inquietantissime) di Grace. 🙂
Ciao, bellissima la tua recensione, ho appena finito di vedere la serie ma confesso che sono completamente ignorante su tutto il resto (tutto), e non ho nemmeno letto il libro. L’ho vista in un giorno, e purtroppo puntata dopo puntata il tempo scorreva anche nella vita reale tanto che la seduta ipnotica è coincisa con la mezzanotte, buio totale, silenzio in casa, tutti a nanna, e niente, non ce l’ho fatta. Ho dovuto chiudere tutto e scappare sotto le coperte aspettando la luce di questa mattina per poterla vedere. Io giuro che il mio soggiorno non è mai stato tanto buio come ieri notte. Volevo solo dire così al volo due cose che mi hanno dato da pensare. Ovviamente il finale sembra aperto ma c’è stata una frase che lei dice verso la fine, che mi ha fatto pensare che forse non fosse apertissimo “so che i miei segreti sono al sicuro con Jeremiah e che i suoi lo sono con me”. – del resto era stato lo stesso Jeremiah ad invitarla, qualche tempo prima degli omicidi, a seguirlo in questa nuova avventura “vedo dalla tua mano che hai talento per queste cose – si saresti perfetta… – se la gente desidera credere in qualcosa, se vogliono ardentemente che sia vero, pensaci, ti sembra un inganno assecondarle? “- La seconda cosa riguarda Mary, non credo che Grace l’abbia uccisa, ma credo che si fosse lo stesso sentita responsabile della morte, forse perché non era riuscita a fare nulla per aiutarla e non le aveva impedito di ricorrere ad un aborto tanto pericoloso. Mary è stata la prima persona che Grace ha amato davvero e con cui si sentiva in totale empatia, per questo forse dopo il trauma della sua morte le era entrata nella testa. Ciò che non capisco è però, come mai, Mary sarebbe “entrata” in forma così malvagia, visto che nella realtà non lo era.
commento spoiler.
dopo un momento perplesso, a fine serie, ripercorrendo la storia mentalmente sembra tutto più chiaro.
la questione non sta nell’innocenza o meno di Grace ma nel suo conformarsi alla società per sopravvivere, a partire dalla madre, inerme e succube di un uomo violento e poi conosce Mary, l’unica che si ribella; è il capovolgimento di quella società che le soffoca. che lei abbia volontariamente vestito i panni di Mary o che la sua mente abbia preso il sopravvento decidendo quale personalità avere non è tanto rilevante.
non penso che in questi casi estremi si scelga quale personalità avere… penso che si tratta di una repressione che è poi esplosa. è rabbia che ricorda un po’ il film “fight club”.
intanto la magnifica recitazione di Sarah Gadon lascia molto intendere ad un personaggio molto ordinato, programmato… avrà studiato tutto? infatti sposarsi non è stato frutto dell’amore ma di un’analisi. non dice “sì” ma “d’accordo”, alla proposta di J., guardano la casa che le apparterrà.
mini-serie fatta molto bene. mio voto 7,5