È tornato Tim Burton? Sì e no. Sono tornati i suoi paesaggi, le sue fioriture, le sue leggerezze e quei dettagli al contempo divertenti ed inquientanti, in questo bistrattato biopic su Margaret Keane che racconta, in modo intimo e colorato, la vita della pittrice e l’arte agli occhi (grandi) di pubblico e società degli anni ’60.
È tornato Tim Burton? Beh, a pensarci bene no, perché in realtà – ho deciso – Big Eyes non è un film di Tim Burton: gli presta solo i suoi occhi (grandi).
Strano questo Signor Burton: dopo aver condizionato le nostre infanzie con gioiellini oscuri come Beetlejuice, Edward Scissorhands e sopratutto quell’immenso Nightmare Before Christmas (di cui è stato sceneggiatore e produttore), ha creato attorno a sé una fitta nebbia di aspettative che probabilmente ha penalizzato i suoi lavori agli occhi (grandi) di critica a pubblico. Il mio rapporto con lui si è fortemente incrinato a causa di Alice in Wonderland (2010) – ispirato ad una delle mie opere letterarie preferite ever – che avrebbe potuto essere il film tenebroso e psichedelico definitivo e che invece è stato un film gradevole e per famiglie, perché, purtroppo, è questo che succede quando Tim dirige storie che non gli appartengono con il supporto e l’ingombro delle grandi produzioni. Ma due tre anni fa il Signor Burton ha deciso di tirar fuori dal cappello Frankenweenie, tratto da un suo corto di gioventù, che, tra lacrime e stupore infantili, mi ha convinta a tornare a credere in lui ed in ciò che avrebbe voluto raccontarmi in futuro.
Big Eyes non è Frankenweenie e lo si vede su carta, non occorre neanche andare in sala: gli occhi (grandi) con cui lo spettatore osserva la storia narrata appartengono a Tim Burton, ma soggetto (del 2007) e sceneggiatura sono invece opera di Scott Alexander e Larry Karaszewski, duo che originariamente avrebbe anche dovuto dirigere questa pellicola, con Reese Whiterspoon e Ryan Reynolds come protagonisti. Nel 2010 viene annunciato il coinvolgimento di Burton come produttore e, dopo diversi rinvii di inizio riprese, nel 2013 lo stesso Burton (non si capisce esattamente perché) prende in mano le redini della regia, potendo a questo punto contare sulla partecipazione della Adams e di Waltz. Cosa c’è dietro questa storiella? Un bel tavolino, lucido lucido come quello di Alice. Ed è proprio un tavolino quello che occorre aspettarsi prima che si spengano le luci in sala.
È un film di Tim Burton? Senza dubbio, ne firma la regia.
Sì, ma è un film di Tim Burton in senso lato? No, non lo è.
Se si affronta la visione con questa (grande) ottica, deburtonizzando e tavolinizzando il tutto, Big Eyes apparirà un film sì convenzionale, ma gradevole e divertente: una commedia che affronta, tramite la voce narrante del giornalista scandalistico Dick Nolan (Danny Hudson), la vita di Margaret Ulbrich prima, costretta a scappare dal marito assieme alla figlia, e quella di Margaret Keane poi, pittrice a cavallo degli anni ’50 e ’60, le cui opere, caratterizzate da figure di bambini con gli occhi grandi e tristi, furono inizialmente attribuite al marito Walter Keane, un po’ perché all’epoca società e mercato facevano fatica ad accettare le pittrici, un po’ perché Walter aveva maggior talento nelle non nobili arti della vendita e della trattativa.
Paradossalmente il punto focale della pellicola non è tanto Margaret quanto il personaggio di Walter, un affabulatore, un intrattenitore, un uomo dal disperato bisogno di avere successo. Nella prima parte del film questa sua necessità di piacere fa sorridere, ma nella seconda parte, quando la popolarità gli si accumula tra le mani in maniera del tutto immeritata, Walter inizia ad averne una seria dipendenza ed è pronto a passare su qualsiasi cosa pur di tenerla tutta per sé. La tanto criticata interpretazione di Christoph Waltz, sicuramente al di sopra non solo delle righe ma di tutto il pentagramma, punta probabilmente proprio a dissacrare e ridicolizzare la figura del piacione.
Dal canto suo, Margaret, dopo un inizio che narra di come avesse lasciato il primo marito in un’epoca nella quale non andava di moda lasciare i mariti, viene rappresentata come una donna fragile ed insicura, come tutti i grandi artisti. Ben raccontato dal tenero rapporto con la figlia, anche il personaggio di Margaret (interpretato egregiamente da un’occhiuta Amy Adams) avrà la sua canzonatura, dato che il coraggio per urlare al mondo il proprio talento le verrà fornito da alcuni anomali versetti.
Se il primo piano è occupato dall’insano rapporto di coppia, sullo sfondo vediamo l’arte intesa come moda e come prodotto: le opere di Keane finiscono sotto i riflettori più per una questione scandalistica che per un vero e proprio apprezzamento critico e, quando il suo talento sarà sulla bocca di tutti, alle tasche dell’artista converrà far stampare in serie poster e cartoline piuttosto che realizzare nuove opere originali.
Big Eyes è quindi una pellicola che finge di affrontare tematiche serie (e talvolta pesanti), finendo in realtà col farsene beffa o un film che finge di canzonare diversi stereotipi sociali, andando così ad affrontare tematiche serie? Io ancora non ho deciso, ma credo che, comunque, l’importante sia guardarlo con occhi grandi grandi.
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Big Eyes (U.S.A. 2014)
Regia: Tim Burton
Sceneggiatura: Scott Alexander e Larry Karaszewski
Fotografia: Bruno Delbonnel
Musiche: Danny Elfman
Cast: Amy Adams, Christoph Waltz, Krysten Ritter, Madeleine Arthur, Danny Huston et al.
Genere: biopic, occhi grandi
Data d’uscita italiana: 1 gennaio 2015
Candidato a: 3 Golden Globes
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Bellissima recensione. Molto più della mia, un po' troppo sbrigativa forse… sarà che questo film è uscito dalla mia testa esattamente un secondo dopo essere uscito dal cinema. Un Burton 'serioso', adulto, quasi 'normalizzato'. Non si può dire che è un brutto film, ma non ha nulla dell'ironia graffiante e dark delle opere migliori, e anche gli interpreti non appaiono a loro agio in questa pellicola così ibrida. Si può vedere, ma non aspettatevi il Burton dei tempi migliori (semmai tornerà)
Ottima recensione, tu mi consoli sempre.
Mi fa piacere vedere le tre stelline e mezzo, perché almeno mi dici che anche se c'è poco Burton e molto più che guardabile. Waltz è bravissimo, per carità, ma bestemmio se dico che recita sempre nello stesso ruolo, gira e rigira? Amy è staordinaria, e pure più sfigata di Di Caprio. Spero di godermi almeno la sua performance, quando lo vedrò 🙂
Mi hai incuriosito, spero di poterlo vedere presto. 🙂
Film su cui tutti stanno dicendo peste e corna, ma tu mi rassicuri, sottolineando proprio i punti che mi spingono a una visione. Speriamo.
Pezzo interessantissimo, davvero.
Io continuo a non puntarci troppo, chissà che così non eviti di rimanere troppo deluso.
Grazie mille.
Sì, fai bene a non puntarci. E ricorda che è solo incidentalmente di Tim Burton.
delle mie amiche l'hanno visto e mi hanno detto di evitarmelo, perché mi farei venire un sonoro mal di stomaco da incazzatura… più per il fatto che la protagonista vien trattata come una pezza da piedi che altro…
Sì, è verissimo: ci sono diversi momenti da pugni allo stomaco, però servono proprio a sottolineare come alcune avvisaglie iniziali e come quel compromesso che in origine serviva ad entrambi possano degenerare… ci stanno, diciamo. Fanno male, ma ci stanno.