Chernobyl è una miniserie televisiva sul disastro nucleare del 1986 creata e scritta da Craig Mazin e diretta da Johan Renck. Nel cast Jared Harris, Stellan Skarsgård ed Emily Watson.
Serie dell’anno? Serie dell’anno.
Avrei voluto scrivere tante cose su Chernobyl, la miniserie che ci ha fatto fare pace con la HBO. Avrei voluto rapportare i fatti reali a quelli (giustamente) romanzati, avrei voluto addirittura buttar giù dei recap degli episodi. Addirittura? Io? Io che non scrivo per mesi? Eh sì. Il guaio è che molto, quasi tutto, è già stato detto e scritto.
Il web è adesso pieno di recensioni, storie vere, foto di adesso e di ieri, foto di persone, foto di cose, animali, città. Non mancano nemmeno le accuse agli USA da parte della Russia, che minaccia (?) di girare una contro-serie tv, raccontando i fatti da un’altra prospettiva. Beh, se il Cremlino vuole fare televisione giri la sua serie tv. Metta in piedi la sua versione, la mandi in onda e vediamo quanti spettatori fa, direbbe qualcuno.
Tornando a noi, dato che oramai mi è rimasto ben poco di originale da scrivere e raccontarti, provo a buttar giù un sunto delle 10 scene più memorabili di Chernobyl, cercando di evitare le banalità e dando libero sfogo a ciò che ha colpito me e potresti non aver notato. Non è stato facile escludere da questa lista la scena del ponte della ferrovia o quella dei tre sommozzatori, ma ho dovuto farlo. Già così m’è venuto fuori un papiello.
Cominciamo, ma prima sappi che questo post pullula di spoiler, per cui se non hai visto nessuno dei 5 episodi di Chernobyl dovresti considerarlo una zona di esclusione (significa “scappa”). Se hai visto solo alcune delle puntate, puoi sbirciare i titoli e seguire le mie farneticazioni sino al punto al quale sei arrivato/a. Per sicurezza…
Episodio 1: 1:23:45
Il primo episodio si apre con la fine, quella di Valery Alexander Legasov (Harris) che si impicca nel secondo anniversario del disastro. Un salto temporale ci porta al 26 aprile 1986. Sono le ore 1:23:45, orario esatto dell’incidente. Passiamo un attimo da casa Ignatenko ad assistere, da relativamente lontano, all’esplosione e ci spostiamo subito dopo nella centrale nucleare V. I. Lenin.
1. Anatoly Dyatlov e la grafite
Nella centrale nucleare di Chernobil sono momenti concitati. Qualcuno urla, dice che “il nocciolo è andato”. Il responsabile Anatolij Djatlov (interpretato da un assurdo Paul Ritter), col suo fare detestabile, dice che non è possibile, dice che deve aver preso fuoco un serbatoio, perché – ehi – lo sanno tutti che i reattori RBMK non esplodono. Accecato dalla boria, impartisce ordini a destra e a manca.
Lascia la stanza di controllo e attraversa un corridoio dalle vetrate rotte. Sentiamo un allarme in lontananza, i suoi passi sui vetri. Non sono i vetri però ad attirare la sua attenzione, quanto i detriti caduti all’esterno. In terra ci sono blocchi di grafite e la grafite – scopriremo poi – si trova solo nel nocciolo di un reattore nucleare. È un momento importantissimo: Dyatlov ha visto, ma nega, se consciamente o meno non lo sappiamo e non lo sapremo mai.
Questa, tra tutte, è forse la mia scena preferita. Per quanto sia tecnicamente ed emotivamente poco paragonabile alle altre, rappresenta – come direbbe zio Stephen King – un “momento spartiacque della storia”: se Dyatlov non avesse negato con tanta caparbietà, persino a frittata fatta – e chiamala “frittata” – qualcuno avrebbe avuto salva la vita. E invece no, Dyatlov nega e chiama quante più persone possibile sul posto, tra vigili del fuoco, soccorritori e addetti alla centrale.
Neanche fosse una festa.
A onor del vero, il primo episodio è zeppo di momenti memorabili: dalla riunione col discorso dell’anziano uomo di partito alla condanna a morte del povero Sitnikov, dal suicidio di Akimov e Toptunov allo spettacolo dal ponte delle ferrovia, solo questi primi 60 minuti avrebbero meritato i loro 10 momenti indimenticabili. Ma il tempo è tiranno e, come ti dicevo, ho dovuto scegliere.
Verso la fine dell’episodio rivediamo Legasov intento in una conversazione telefonica a senso unico con un tale Boris Shcherbina, vicepresidente del consiglio dei ministri e capo dell’ufficio energia. L’ultima immagine di 1:23:45 è quella di un uccellino che cade a terra, morto.
Episodio 2: Please Remain Calm
A Minsk, in Bielorussia, due scienziati rilevano un picco inaspettato di iodio 131. Non è Ignalina; non può essere Chernobil, è troppo lontana. Eppure da Chernobil nessuno risponde.
2. le donne e lo iodio
Saprai già che il personaggio della fisica bielorussa Ulana Khomyuk (Emily Watson) rappresenta l’insieme dei tanti scienziati (alcuni dei quali donne) accorsi sul luogo a supportare Valery Legasov.
Nel secondo episodio Ulana si reca alla sede del partito comunista di Minsk per incontrare il sottosegretario Garanin, al quale però non importa un fico secco dell’opinione della fisica nucleare. Prima di lasciare la sede, però, Ulana consegna alla segretaria del politico delle pillole di iodio, consigliandole di prenderne una al giorno sino a finire il flacone.
Questa scena fa il paio con quella della giovane dottoressa nel primo episodio: mentre osserva il bagliore sopra la centrale, chiede al collega più anziano informazioni sulla riserva di iodio dell’ospedale. Il medico (che poi tenterà di curare le ustioni da radiazione con il latte…) fraintende e pensa allo iodio come disinfettante.
Lo iodio, in entrambi i momenti, viene consigliato per evitare che la tiroide assorba lo iodio 131, isotopo radioattivo derivato dalla degradazione dell’uranio.
Perché, tra tante, ho scelto queste scene (barando, tra l’altro)? Beh, perché le patologie tiroidee hanno un’incidenza maggiore nella popolazione femminile e mi è piaciuto che fossero proprio due donne – e che donne! – a farvi riferimento. Le ho scelte anche perché alcune patologie autoimmuni, causate – sembrerebbe – proprio dai mutageni scatenati da Chernobyl, possono essere curate placate, ironia della sorte, con terapie di iodio radioattivo. Usiamo “Chernobyl” per curare Chernobyl. E sì, ne sono diretta testimone.
3. il momento in cui vien fuori il mostro
A 20 ore dall’esplosione Legasov e Shcherbina giungono a Chernobyl, dove Bryukhanov e Fomin tentano di intortarseli con la solita storia che i reattori RBMK non esplodono. È Boris Shcherbina però a confermare il fatto che il suo personaggio sia scritto bene: chiede informazioni sulla grafite, quella dannata grafite fuori e tutt’intorno. Nikolai Fomin, capo ingegnere, parla di cemento bruciato, infastidendo Shcherbina, che è un burocrate, ma non un fesso. Il colonnello Vladimir Pikalov annuncia l’arrivo di un dosimetro vero, ad alta portata; ed è lui stesso, in una camionetta coperta di piombo, ad andare a effettuare la misurazione. È una sequenza meravigliosa, con le lente manovre del camioncino che si alternano a quelle di estenuante attesa. Poi il colonnello fa ritorno.
Ecco, io so cosa è successo a Chernobyl. Posso non conoscere la differenza tra fusione e fissione, ma so che lì non è andato a fuoco un serbatoio. Eppure, paradossalmente, fino a questo momento una parte di me, pienamente cosciente, ha sperato che non fosse successo davvero, almeno nella finzione.
Poi il colonnello fa ritorno ed è come se Alien, Godzilla e Freddy Krueger entrassero in scena tutti assieme. Non siamo a 3.6 roentgen. Non a 200, come rilevato dal dosimetro dato per malfunzionante. Siamo a 15.000 R. Il nocciolo è esposto. Eccolo lì il mostro, solo che non lo vedi.
4. i bambini di Francoforte
Boris Shcherbina ha appena appreso, per bocca di Legasov e senza tanto tatto, che a causa dell’esposizione subita sì e no restano loro 5 anni di vita. Lo dico adesso che Skarsgård è immenso? Dopo, va.
Nell’istante successivo Shcherbina viene a sapere che una centrale nucleare in Svezia ha rilevato le radiazioni e dato l’allarme in tutta Europa (true story). “Tutto il mondo sa”. Ai bambini di Francoforte, in Germania, è stato proibito di giocare all’esterno. Germania. Francoforte. Oltre 1.500 km da lì (così dice mamma Google). Dalla finestra Shcherbina vede la gioventù di Pripyat in strada, tra i fumi, a nemmeno 3 km dal disastro, come se niente fosse successo.
Non viene detto niente, né viene aggiunto altro. Non ce n’è bisogno: sono i loro figli quelli là fuori, quelli più esposti. Nell’imponente sequenza successiva Pripyat viene evacuata. Sono le due del pomeriggio del 27 aprile 1986.
L’episodio procede tra l’arrivo di Ulana e la seconda riunione col Gorbacione, per poi chiudersi con un cliffhanger da paura: la sequenza dei tre sommozzatori. Ma – ehi – ho promesso che non ne avrei parlato.
Episodio 3: Open Wide, O Earth
Nel terzo episodio il nostro Legasov spiega – a noi, a Boris e al KGB – gli effetti delle radiazioni sul corpo umano; gli stessi ci vengono mostrati – senza eccessivo gore, diciamolo – tramite gli occhi di Lyudmilla e Ulana.
Ulana Khomyuk è a Mosca per raccogliere le testimonianze di Dyatlov, Akimov e Toptunov. Viene detto più di una volta, nella serie, che Leonid Toptunov aveva appena 25 anni (ne aveva 26, nella realtà), ma non viene detto che Sasha Akimov, suo diretto superiore (e mio personalissimo supereroe), ne aveva appena 33.
5. la “classe operaia”: i minatori e la giacchetta del ministro
La Santa Madre Russia, come dicevamo all’inizio, non ha preso benissimo l’avvento di questa miniserie HBO. C’è da capirla, da un lato: il Gorbacione, il KGB, i viceministri alla salute e all’industria mineraria, i sottosegretari panciuti e i responsabili della centrale non ci fanno una gran bella figura.
Eppure.
Eppure a brillare – passamela – qui è il popolo, sono i lavoratori. I vigili del fuoco, Vasily e Mischa, che rimangono a domare le fiamme pur avendo compreso che qualcosa non va (“do you taste metal?”). Ci sono poi i tre sommozzatori volontari, Ananenko, Bezpalov e Baranov, che per quattro spicci si immergono nelle acque più tossiche al mondo. E i minatori di Tula, che lavorano al buio ma “vedono qualsiasi cosa” e riempiono di terrose pacche la giacchetta cerulea del ministro dell’industria mineraria…
E come dimenticare le centinaia di migliaia di liquidatori? Il popolo ucraino viene descritto come eroico e coraggioso e alle camere della HBO e ai nostri occhi ne esce più che vittorioso. E invece c’è chi guarda il dito.
6. Lyudmilla e le scarpe di Vasily Ignatenko
Dopo due settimane di agonia, Vasily Ignatenko muore a causa delle radiazioni assorbite. La moglie, Lyudmilla (Jessie Buckley), riesce a stargli accanto sino all’ultimo momento.
La triste storia vera di Ljudmila Ignatenko è raccontata nel libro Preghiera per Černobyl della giornalista Premio Nobel Svjatlana Aleksievič. Non ho letto il libro, per cui non so dirti se davvero Lyudmila fosse incinta, se il figlio morì a poche ore dalla nascita e se adesso risiede a Kiev con un altro figlio. Posso dirti per certo, però, che al funerale di Vasily (che fu sepolto in una bara di zinco poi ricoperta di cemento) non aveva in mano delle scarpe, come invece ci viene mostrato da Johan Renck e dalla HBO.
Ljudmila Ignatenko aveva in mano dei fiori.
Perché, quindi, dare a Jessie Buckley quelle scarpe? Beh, perché gli effetti di radiazioni così massive sul corpo umano sono imprevedibili e – per fortuna – poco studiate. Si racconta che i corpi di alcuni, tra quelli più esposti, si rimpicciolirono e annerirono progressivamente; altri si gonfiarono a dismisura. Questo raccontò Luda alla giornalista bielorussa:
When he died, they dressed him up in formal wear, with his service cap. They couldn’t get shoes on him because his feet had swollen up. They buried him barefoot. My love.
Quando (Vasily) morì, lo vestirono in abbigliamento formale, con il suo cappello di servizio. Non potevano mettergli le scarpe perché i suoi piedi si erano gonfiati. Lo seppellirono a piedi nudi. Il mio amore.
Ecco lo straziante perché di quelle scarpe.
Episodio 4: The Happiness of All Mankind
Il quarto episodio ruota attorno ai liquidatori, le centinaia di migliaia di lavoratori che tra il 1986 e il 1990 si occuparono della decontaminazione della zona di esclusione. Il che ci porta a…
7. Pavel, il civile che smette di parlare
Abbiamo conosciuto Pavel (Barry Keoghan, Dunkirk) alla fine del terzo episodio, ma qui scopriamo quale – terribile – compito gli viene assegnato: assieme al veterano e logorroico Bacho ed all’armeno Gano (che in tutto l’episodio pronuncia solo le 5 parole del titolo) deve sopprimere gli animali, domestici e non, rimasti e abbandonati nella zona attorno a Chernobyl e Pripyat.
Lo vediamo mietere, malamente, la sua prima vittima. Lo vediamo esitare di fronte ad una tenera cucciolata (pare che, per fortuna, la sequenza successiva sia stata esclusa dal montaggio). Lo vediamo, ma lo sentiamo sempre meno. Pavel infatti smette progressivamente di parlare. In una serie tv in cui il sonoro è a dir poco fondamentale, questo non è certo un dettaglio.
8. i biorobot e la pulizia del tetto
Jocker, il rover lunare concesso dalla Germania, fallisce miseramente perché fornito, erroneamente, sui numeri della propaganda. Shcherbina sfracella un telefono ed eccolo lì, maestoso e tecnicamente inattaccabile, il piano sequenza simbolo di questo gioiellino di serie tv.
A ripulire il tetto del reattore da macerie e grafite altamente radioattiva vengono (così come vennero realmente) impiegati degli uomini. Questi uomini, questi lavoratori, bardati di tutto punto e armati di pale, hanno letteralmente i secondi contati. Nella serie tv ci vien detto che il tempo di permanenza massimo sul tetto (“il luogo più pericoloso al mondo”) per ognuno di loro è di 90 secondi, nella realtà pare si trattasse di 120 secondi; per certo ogni istante oltre i 40 secondi non era da ritenersi sicuro.
Ma non è questo il punto. Il punto è che questi 90 secondi il regista Johan Renck ce li fa vivere tutti, senza stacchi. E non è nemmeno solo la regia, ma ci si mettono anche fotografia e scenografia a dare i brividi, ricalcando colori, spazi e movimenti dei filmati originari. Guarda questo video, girato nel settembre 1986, e poi riguarda il piano sequenza del quarto episodio. È incantevole, vero?
Incantevole e atroce. Quella luce. Quell’inciampo. Quell’apertura nel muro. Quel gong che impone il rientro. E quello sfrigolio, quel dannato sfrigolio che sentiamo almeno tre volte: qui, nella missione dei sommozzatori e nei titoli di coda. Quello sfrigolio che oramai significa morte.
Episodio 5: Vichnaya Pamyat
Al quarto episodio, perennemente in movimento tra sgombero e bonifica, ne segue un quinto completamente statico, puramente narrativo. Passiamo oltre mezz’ora in un tribunale della zona di esclusione a ricostruire, istante per istante, tutte le azioni che hanno portato al disastro. Shcherbina, Khomyuk e Legasov ci spiegano cose che pensavamo di non riuscire a capire, mentre il presente narrato si alterna con quella dannata notte del passato, in una perfetta struttura ad anello. A proposito…
9. la riunione sul test di sicurezza: il primo anello della catena del disastro
Il quinto e ultimo episodio si apre il pomeriggio del 25 aprile 1986, in una Pripyat ignara del suo futuro. Vediamo sorridere Lyudmilla, Vasily ed i loro amici; su di una panchina con la moglie vediamo Sitnikov, l’ingegnere responsabile del turno di giorno che di lì a poche ore sarà mandato a controllare – così, per scrupolo – che non ci sia più un nocciolo. Vediamo poi Dyatlov e la sua valigetta procedere a spasso spedito. Sta andando a una riunione con Fomin e Bryukhanov. Si parla di promozioni, del test previsto per quel giorno, di obiettivi di produzione.
Non so se davvero ci fossero delle cariche in ballo, non so se fu Anatolij Djatlov a permettere il differimento del test. Per certo, però, quel maledetto test avrebbe dovuto essere eseguito dagli operatori del turno di giorno (che erano stati preparati al protocollo da seguire) e venne invece posticipato per finire nelle innocenti e impreparate mani di Akimov e Toptunov.
Nella realtà pare che questo slittamento fu dovuto al guasto di una centrale elettrica poco distante; per questo fu richiesto al personale di Chernobyl di non ridurre ulteriormente la potenza (e quindi l’energia prodotta) fino al suo ripristino, che avvenne dopo circa 9 ore (in concomitanza con l’avvio del test).
Nella serie della HBO viene data una spiegazione differente agli eventi, più capitalista ed occidentale, più dolorosa. È Bryuchanov (Con O’Neill), con quella sua funesta voce atona, a fornircela: è fine mese, nelle fabbriche fanno tutti straordinari per raggiungere gli obiettivi di produzione. Se hai lavorato come dipendente, anche solo un giorno ed in qualsiasi campo, non puoi non tremare a quelle parole, così reali, così vicine a noi.
Tutti gli incidenti, dal più insignificante al più disastroso, hanno origine da una distrazione, una superficialità, una… minchiata. Posticipare il test è stata la minchiata di Chernobyl, o – come poi dirà Ulana Khomyuk al processo – è stato “il primo anello nella catena del disastro”.
10. Legasov, Shcherbina ed il “Soviet Mickey Mouse”
Sapevo che avrei amato Legasov prima ancora di conoscerlo. È che gli scienziati vincono facile con me, sopratutto se (lo scopriamo nei primissimi minuti) per amor di verità sono costretti a gesti estremi. Legasov mi avrebbe convinta comunque, anche se quel mostro di Jared Harris non ci avesse messo tutto il suo: le pose scomposte, le parole fuori luogo, quei movimenti della testa messi lì a rispondere a domande alle quali non si vorrebbe mai rispondere.
Non mi sarei aspettata però di amare in egual misura un politico sovietico. Stellan Skarsgård ed il suo Boris Shcherbina, scritto in maniera esemplare, sono il simbolo di questa miniserie e di un concetto paradossalmente fiducioso: quando tutto va a rotoli anche un solo uomo retto al comando può salvare un popolo. Purché ci sia, quell’uomo retto, quel politico capace.
They heard me, but they listened to you.
Sentivano me, ma davano ascolto a te.
Per omaggiarli entrambi, Legasov e Shcherbina, scelgo l’ultimo momento in cui li vediamo assieme, su di una panchina durante una pausa del processo. Il processo non è andato veramente così (pare che Legasov fosse stato già… congedato) e forse i due non erano così rispettosi l’uno dell’altro, ma chi se ne importa. Se questi sono elementi di pura fiction, parliamo di livelli altissimi di fiction, di scrittura e di recitazione.
C’è quel momento, quello in cui Shcherbina mostra a Legasov il fazzoletto macchiato di sangue: gli occhi di Skarsgård, quasi sempre socchiusi dal peso delle responsabilità, sembrano diventare enormi, teneri, puerili, si riempiono improvvisamente di paura. Il terrore che li colma non è quello della propria morte, è quello di aver sprecato la sua occasione, la sua vita. E qui – non lo nascondo – non riesco a trattenere le lacrime, perché quella è la paura che abbiamo tutti e che mai attribuiremmo a un personaggio con un arco narrativo del genere. Le parole che Legasov fa seguire sono beffarde e consolatorie:
Fra tutti i ministri e fra tutti gli ufficiali, fra tutta la congrega di sciocchi ubbidienti… per sbaglio hanno mandato l’unico uomo capace.
Questo dialogo, questo colpo al cuore, ci viene presentato in una scena nella quale intravvediamo una statua di Topolino, una sorta di versione poraccia del Mickey Mouse della Disney. È messa lì a caso, dici? No, neanche per idea. La scenografia omaggia una vecchia foto, scattata nel 1980 a Pryp”jat’, nella quale un bambino posa accanto a una statua di Mickey Mouse. Sì, quella statua serve a ricordarci che questo dialogo toccante magari non c’è stato davvero, ma tutto il resto – pellamiseria – sì.
In memoria di tutti coloro che hanno sofferto e si sono sacrificati.
11. bonus track: la ruota panoramica di Pripyat, grande assente
Ti sarà capitato di girovagare per il web alla ricerca delle immagini di quei luoghi e ti sarai sicuramente imbattuto/a nelle fotografie del parco divertimenti di Pripyat, con la ruota panoramica dai vagoncini gialli e tondi, oramai simbolo universale di pericolo e abbandono. La cosa ancor più assurda è che la ruota panoramica avrebbe dovuto essere inaugurata il primo maggio del 1986, in occasione della festa dei lavoratori. La città di Pryp”jat’ è però stata evacuata il 27 aprile e per questo – si dice – nessuno in realtà è mai salito su quei vagoncini tondi e gialli.
Ci ho posto molta attenzione e sono abbastanza sicura che in nessuno dei 5 episodi di Chernobyl si veda o si intravveda mai un richiamo o una riproduzione della ruota panoramica. Mai. Una scelta stilistica e voluta? Un particolare secondario e trascurabile? Non lo so, ma ti dico la verità: simbolo di ciò che poteva (e doveva) essere e non è stato e mai sarà, a me è mancata tantissimo.
Ed eccole qui, le mie 10 scene indimenticabili di Chernobyl, anche se già mi pento d’aver escluso il ponte della ferrovia e i sommozzatori. Cosa ne pensi? Ho tralasciato qualcos’altro che meritava di essere in questa lista? Se sì, fammelo sapere nei commenti e ricorda che puoi votare questa miniserie commentando o semplicemente inserendo da 1 a 5 stellette alla voce “voto dei lettori” nella review qui sotto.
Chernobyl, la recensione della miniserie
Titolo originale: Chernobyl
Description: 10 scene, 10 momenti, 10 emozioni per rivivere e analizzare assieme Chernobyl, la miniserie ideata e scritta da Craig Mazin che avvicina un po' di più le parole "capolavoro" e "televisione".
Director(s): Johan Renck
Actor(s): Jared Harris, Stellan Skarsgård, Emily Watson, Paul Ritter, Jessie Buckley
Genre: dramma storico
Stagione: 1
Numero di Episodi: 5
Start Date: 2019/05/06
End Date: 2019/06/03
Durata: 60 - 72 min
Country of origin: Stati Uniti, Regno Unito
- sceneggiatura
- realizzazione
- personaggi
- recitazione
- originalità
- cuore
riassunto
Nessuno di noi era pronto, nessuno si aspettava che Chernobyl, la miniserie tv ideata e scritta da Craig Mazin, potesse essere così spietata e terrificante. Tutti – io in primis – abbiamo preso sotto gamba questo prodotto, uscito, tra l’altro, in un momento di forte astio verso la HBO (ehi, guarda! un drago!).
Sono bastati i primi minuti del primo episodio, 1:23:45, a darci una raddrizzata, a darci ué uagliò, qua si sta facendo la storia della televisione… e forse anche quella del cinema. E questa storia, uaglioni miei, non si sta facendo a discapito di chi quella tragedia l’ha vissuta e la vive ancora, no; la si sta facendo omaggiando costantemente tutti coloro che vi hanno preso parte, dai vigili del fuoco al personale medico, dai minatori ai liquidatori.
E quando l’imponente meccanismo della HBO è ben oliato, lo sappiamo, non c’è niente che possa arrestarlo. Chernobyl tocca livelli tecnici altissimi, con sequenze e scene memorabili sia per costruzione che per interpretazione. Io ho cercato di riportarne 10 ed è stato tutt’altro che facile racchiudere queste emozioni in un numero. E no, la mia non è una reazione spropositata.
Pros
- un livello tecnico altissimo, con un uso del sonoro che meriterebbe tutti i premi del mondo;
- una scrittura efficace ed essenziale, in grado di creare dei personaggi indimenticabili, nel bene e nel male;
- un cast strepitoso, che… davvero volevano degli attori ucraini al posto di questi mostri sacri?
Cons
- dov’è la ruota panoramica, dov’è?
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( reviews)
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HBO = Qualità, le sue serie sono le meglio anche da prima che scoppiasse il boom “mi ammazzo di serie dal mattino alla sera”.
Ciao Elfo, benvenuto!
Beh sì, la HBO ne ha sfornate di serie memorabili: The Newsroom, The Night Of, Silicon Valley, Game of… uh, no.
Scherzo, eh, è che ho ancora il dente avvelenato e non c’è zuccherino (atomico) che faccia effetto. 🙂
Finita di vedere ieri su Sky, mi associo ai commenti positivi. Al di là di qualche scelta discutibile (come scritto sopra) la qualità è decisamente alta.
Dopo la serie hanno trasmesso un documentario, “The Real Chernobyl”, che in piccola parte riabilita la figura di Dyatlov: nella serie dipinto come una vera merda e basta (se ci pensi si sa poco di lui, direi il meno caratterizzato), nel documentario come un uomo sotto forti pressioni esterne e con un grande ego. A precisa domanda
– Pensi che Dyatlov sia un criminale?
– No.
Ex direttore della centrale di Chernobyl, Sergei Parashin.
N.C.
Sì, è vero, nella serie il personaggio di Dyatlov è volutamente arrogante e sgradevole, come quelli di Bryukhanov e Fomin.
Però nei primi minuti del pilota il nostro Legasov, in riferimento proprio a Dyatlov, dice che “c’erano criminali di gran lunga peggiori di lui al lavoro”, sottintendendo che Dyatlov ha finito per essere il capro espiatorio di un reato immane con decine (se non centinaia) di colpevoli. No?
Storia che molti di noi abbiamo vissuto, io avevo 16 anni (anzi 15 e mezzo) e ne conservo memoria. Eppure per quanto enorme come disastro, pochi di noi sanno o sapevano la reale entita del dramma, quasi nessuno sa o sapeva qual e fu la causa, quali furono gli eventi e cosa realmente abbiamo rischiato. Per tutto questo, anche se romanzata (e pur sempre una fiction), questa serie era necessaria . A questo punto fatta la tara alle splendide ed intense interpretazioni, al dettaglio delle ricostruzioni, alla regia capace di evidenziare senza morbosita gli effetti delle radiazioni, alla fotografia angosciante, al pathos, all ansia, alla tensione che si prova nel vedere alcune sequenza, il valore della Fiction e sicuramente accentuato dalla memoria. Una memoria che in realta era offuscata, mai chiara, sminuita e ora e diventata un macigno, un orrore, una presa di coscienza indelebile. Piu horror di programmi di genere, tiene incollato lo spettatore e non ti fa andare a dormire tranquillo. Credo che in solo 5 puntate si sia conquistata un posto d onore nelle serie Tv di tutti i tempi. Imperdibile VOTO *****
Ehi! La tua recensione mi è piaciuta davvero tantissimo e ho trovato interessantissimo il tuo punto di vista e il tuo modo di analizzare i momenti che hai considerato più salienti. Mi sono salvata il tuo articolo nei preferiti perché tornerò sicuramente a leggerlo. Ho visto anche io la serie e devo ammettere che ne sono rimasta affascinata nonostante io quando successe il terribile fatto ero nel mondo della luna – e ci sarei rimasta per ancora un bel po’ dato che ero bambina nei primi anni 2000. Mi ha sempre affascinato questo tema malgrado la sua intensità e per certi versi “crudeltà”, concordo con te su molte delle scene e se devo dirti una di quelle che mi ricorderò per lungo tempo è quella dove i tre sommozzatori si alzano dalle sedie e si offrono per scendere nelle acque tossiche. Anche la sequenza dei sommozzatori mi ha tenuta con il fiato sospeso e quel fruscio radioattivo inconfondibile di sottofondo mi è rimasto nelle orecchie per giorni. Poi l’angoscia di sapere i numeri, le prossime mosse, la chimica tra gli attori e anche tra i personaggi stessi…fiction davvero di altissimo livello. Decisamente consigliata – come il tuo articolo d’altronde.
Grazie ancora, Alice.