Ancora una volta la community più figa e prolifica della blogosfera affronta un argomento complesso e quanto mai attuale: dopo il War No More Day ed il No More Excuses Day, ci cimentiamo oggi con il Rainbow Day per difendere a gran voce diritti che in un mondo non alla rovescia non avrebbero bisogno di essere difesi: il diritto di amare e quello di poter costruire qualcosa con qualcuno che è del nostro stesso sesso.
Sì, parliamo degli omosessuali, una terribile parola ideata per classificare qualcosa che non andrebbe categorizzato e che nello slang americano e nella pellicola di cui stiamo per parlare, Dallas Buyers Club, si contrappone a “straight“, che vuol dire anche “giusto, diritto, onesto”.
In coda a questo post troverete come di consueto l’elenco dei blogger che, come me, almeno per oggi e solo in riferimento allo slang omofobo americano, hanno deciso di essere sbagliati, storti e disonesti, sia per poter aggiungere la propria voce al coro dei Veri Giusti (quelli senza slang), sia per omaggiare il blog La Fabbrica dei Sogni, promotore dell’iniziativa, che proprio oggi compie sette anni.
Tanti auguri quindi a La Fabbrica dei Sogni, ma tanti auguri anche a noi, nella speranza che piano piano, a piccoli passi, si possa costruire una società diversa, una di cui andar fieri, totalmente libera da questa melma di cazzate che avvolge quella attuale.
Ah, dimenticavo:
Questo post contiene un bel po’ di maleparole. |
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Sometimes I Feel Like I’m Fighting for a Life I ain’t got Time to Live.





Siamo a Dallas nel 1985. Ron, il protagonista della nostra storia, è in realtà Ronald Dickson Woodroof, un imprenditore realmente esistito che creò un’associazione per reperire e distribuire farmaci per il trattamento dell’HIV, in un momento nel quale la Food and Drugs Administration preferiva il divieto alla sperimentazione.
Dallas Buyers Club si apre con una scena di sesso tra Ron e due donne durante un rodeo. Non c’è alcun dialogo nella sequenza, solo il rumore fastidioso di un respiro affannoso sovrastato dalla voce del commentatore al microfono. I dialoghi seguiranno poco dopo e saranno intrisi di sessismo ed omofobia, perché Ron è un “cowboy”, come si definisce lui stesso, ma un cowboy della peggior specie: un maschio convinto che le donne siano un oggetto e che gli omosessuali siano dei “succhiacazzi”.
Anche per questo Ron fatica ad accettare la diagnosi che gli viene fatta poco dopo: HIV, ormai evolutosi in AIDS, la malattia dei finocchi, la malattia dei froci. La sceneggiatura di Craig Borden e Melissa Wallack (nominata agli Oscar del 2014) non perde tempo nello stabilire le condizioni di Woodroof, facendoci sapere che gli restano solo trenta giorni di vita entro i primi quindici minuti del film. Per Ron inizia un percorso complesso, fatto inizialmente di negazione, cui segue un calvario di sofferenze fino a che l’attaccamento alla vita non lo porta a far di tutto per poter rientrare nella sperimentazione di un nuovo farmaco, l’AZT.
Contemporaneamente per Ron inizia anche un periodo di emarginazione: quegli stessi amici con i quali era solito fare lo sbruffone, avendo conosciuto il suo stato, lo deridono, lo allontanano, ignari del fatto che il virus dell’immunodeficienza umana, come buona parte dei suoi “fratellini”, se ne frega del tuo sesso, della tua razza, del tuo orientamento sessuale. Già, da questo punto di vista potremmo considerare questo retrovirus molto più evoluto di alcuni esseri umani.
Insoddisfatto dei risultati ottenuti con l’AZT ed incurante della sua vita dissoluta, Ron conosce un medico messicano che propone cure alternative alla sua condizione, ma al contempo fiuta la possibilità di fare un grosso affare: importare illegalmente integratori e farmaci negli Stati Uniti per poi rivenderli, a caro prezzo, a uomini e donne malati del suo stesso male. Non potendo vendere apertamente le sostante non approvate da FDA, Ron mette su un’associazione, il Dallas Buyers Club appunto, che con una tessera mensile di appena quattrocento dollari dà diritto ad avere le cure.
Dallas Buyers Club dipinge in lato peggiore della medicina, tra medici che non hanno interesse nell’effettiva veridicità delle loro pubblicazioni e santoni che parlano di aloe e peptidi, solo la Dottoressa Eve Sacks (Jennifer Garner) sembra intenzionata a tener fede al giuramento di Ippocrate, avendo realmente a cuore la salute dei suoi pazienti, tra i quali Rayon, un giovane transgender molto malato.
Il film di Jean-Marc Vallée è un biopic anomalo, distante, a volte addirittura asettico. Pur concedendosi diversi momenti di ironia, la pellicola sembra voler tirare avanti incurante dei sentimenti di personaggi e spettatori in un ritmo disarticolato, scandito dallo scorrere dei giorni rimasti a Ron. Dallas Buyers Club sembra per buona parte della sua durata voler trattenere il pugno emotivo che lo spettatore si aspetta da un momento all’altro e, nonostante questo, quando la mazzata arriva, il montaggio martellante tira dritto verso l’evoluzione per poi rilassarsi solo negli ultimi istanti conclusivi. In mano a qualcun altro, questo biopic avrebbe potuto diventare stucchevole e presuntuoso, Vallée, invece, sembra voler mantenere un tono quasi documentaristico, sembra voler mettere a punto un film serio, su un argomento serio e intensamente consapevole della propria serietà.
Ma – inutile nasconderlo – il vero fiore all’occhiello del Club degli Acquirenti di Dallas sono i suoi principali interpreti, entrambi dimagriti a dismisura per il ruolo. Matthew McConaughey, vincitore dell’Oscar come miglior protagonista, interpreta Ron e dipinge con colori nitidi questo personaggio che passa dall’essere un elettricista coglione all’essere un uomo, in quanto tale dotato di un’anima ed un cuore. La figura di Ron resta quella dell’uomo rude e dalle pessime maniere dall’inizio alla fine, la sua evoluzione consiste nello spogliarsi di tutti gli stupidi pregiudizi che gli riempivano la bocca e gli ottenebravano la testa, proprio nello stesso modo in cui si libera di quelle droghe che di certo non giovavano al suo stato.
Rayon è invece interpretato da un Jared Leto che di Oscar come miglior attore non protagonista avrebbe dovuto vincerne almeno due, entrambi ovviamente per questa pellicola (ne ha vinto uno comunque, eh). Il suo Rayon è di una credibilità spiazzante: giocoso, spiritoso, brillante e pieno di un sentimento e di una voglia di vivere che sembrano strabordare da quel corpo deturpato dal progredire della malattia. Leto modula la voce e misura ogni gesto senza mai essere sopra le righe e lasciando il segno in un ruolo che senza di lui sarebbe probabilmente risultato marginale.
A proposito di ruoli, veniamo a ciò che mi ha portata a scegliere Dallas Buyers Club per onorare questa iniziativa e che probabilmente potrebbe essere solo una mia lettura, magari sbagliata, di personaggi che sembrano giocare al gioco dei ruoli.
Il personaggio di Ron sembra essere imbrigliato in un contesto nel quale l’omofobia è “in”, fa tendenza. Le sue parole, spesso ricche di disprezzo, perderanno verve man mano che conoscerà e si affezionerà a Rayon, che invece è chi ha sempre saputo di essere. Ron gioca ad essere una persona diversa proprio come il suo amico T.J., compagno di bevute e di scopate, che dopo l’iniziale derisione non gli nega la sua presenza nel momento del bisogno. Ron e T.J. non sono ciò che vorrebbero sembrare, ma fanno di tutto per comportarsi in questo modo ottuso e vile che fa tanto branco. Entrambi sembrano avere tutt’intorno una melma di pregiudizi e stronzate di cui, però, non potranno fare a meno di liberarsi. Per stare meglio, per essere uomini.
Tutto questo panegirico per dire che “omofobia” significa letteralmente “paura dell’omosessualità” e che la paura, spesso, è figlia della suggestione. Non lasciamoci suggestionare da chi fa finta di non capire che siamo tutti nella stessa squadra, perché il pregiudizio, come le droghe di Ron, non fanno che toglierci speranza e dignità. Non fingiamo di interpretare un ruolo diverso dal nostro, perché siamo troppo intelligenti per essere omofobi, sessisti, razzisti o xenofobi. Non inganniamo noi stessi e il nostro raziocinio appresso ad imbecilli che farneticano di diversità inesistenti.
Non fingiamo di essere cretini, oltretutto non saremmo credibili come McConaughey.
E liberiamoci della melma, perché di quella sì che occorre avere paura.
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Hanno partecipato al Rainbow Day:
Ehi, grazie di aver letto sin qui. Se questo post ti è piaciuto, puoi supportarmi facendolo girare sui social e sul webbe, perché sì la felicità è reale solo quando...
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Grandissima conclusione, condivido ogni parola: l'omofobia è spesso solo suggestione, il desiderio di conformarsi alla moda della mentalità imperante che ci porta a perdere tante bellissime esperienze ed amicizie. E Dallas Buyers Club ce lo mostra in modo per nulla retorico!
Grazie mille! Non ero sicura di aver beccato la giusta chiave di lettura (e non lo sono neanche ora), ma di certo se ho frainteso l'ho fatto per una giusta causa. 🙂
bellissimo film e brava la nostra stephania, grazie per aver partecipato a questa mia sentitissima iniziativa ^_^
Grazie a te e cento di questi "bloggheanni"!
Un film che a me non ha esaltato più di tanto, sicuramente bello ma non poi così bello. Certo che tratta tematiche importanti in modo "anomalo". Però l'interpretazione di Leto per me è stata davvero fenomenale e devo ammettere che il film è anche riuscito a commuovermi.
Sì, mi sono commossa anch'io, anche se mi aspettavo qualcosa di più soprattutto a livello tecnico, perché dal punto di vista emozionale credo che questa sorta di distanza sia voluta (e riuscita) e per quanto riguarda le interpretazioni qualsiasi parola è superflua.
Condivido in toto la riflessione iniziale naturalmente, per quanto riguarda il film invece ammetto di averlo apprezzato davvero tanto, probabilmente quantificando il gradimento in stelline si sarebbe illuminata completamente anche la quarta. 🙂
Beh, dai, cosa vuoi che sia mezza stella in confronto al firmamento intero? 🙂
È piaciuto anche a me, anche se c'è un qualcosa – che non riesco nemmeno ad identificare – che non mi ha convinta del tutto. Forse è stata proprio quella lacrimuccia lì, che non aspettavo e che invece – toh! – è arrivata puntuale.
Gran bel film secondo me, e prestazione di McConaughey super!
Per quanto riguarda le considerazioni personali ovviamente condivido anche le virgole!
Impressionanti sia Matthew che Jared, dal film mi aspettavo qualcosa di più, non bene nemmeno io cosa, ma il messaggio che lancia, assieme al tuo, fa centro.
Già, hai proprio ragione: anche a me è mancato qualcosa che non riesco nemmeno ad identificare. Resta comunque un'opera ben scritta e ben interpretata che alla fin fine – pur fingendo di andarsene incurante per la sua strada – arriva dritta dritta all'anima.
Bello ma freddino. Nonostante tutto i due sono magnifici e il regista è uno bravo bravo.
Ottimo lavoro con la Witherspoon – Miss Antipatia – in Wild.
Sul tema, però, ho preferito The Normal Heart. Ci si incazza, si piange e Ruffalo e Bomer non sono davvero da meno.
Proprio vero, è "freddino", ma dopo la seconda visione mi sembra che stia stata una scelta del tutto voluta. Ricordo il tuo elogio per The Normal Heart, che purtroppo ancora latita nella mia lista di visioni, ma tanto di cappello a Ruffalo e Bomer anche a scatola chiusa.
Concordo pienamente con la tua riflessione, hai scelto il film giusto per farla, Lansdale dice che spera sembra che prima o poi qualcuno faccia storie in cui dal Texas arriva anche brava gente, ma evidentemente il luogo si presta ha personaggi come quello di Matthew, lo stereotipo del macho che rivede un pò tutta la sua scala di valori, quello che dovrebbero fare tutti gli omofobici 😉
Detto questo concordo anche sul film, è la classica cosa che piace all'accademy, interpreti micidiale, e l'Ex McCoso premiato con l'Oscar che non gli potevano dare per il Rust di True Detective 😉 Baccio!
Parole sante.
Baccio baccio man! ♫
Diciamo che questo è uno dei pochi premi oscar che siano stati assegnati meritatamente negli ultimi anni anche se, ai tempi, si tendeva a dire che era stato premiato il dimagrimento forzato piuttosto che la recitazione. Il contesto omofobico mi era parso eccessivo forzato ma, ripensandoci a posteriori, forse mi sbagliavo. Molto meglio questo di Philadelphia (Springsteen a parte)
Uh, Philadelphia! È da un bel po' che non lo incrocio. Riflettendoci sono pellicole simili ma antitetiche a livello emozionale.
Qualcosa sugli Oscar bisogna sempre dirla: ha vinto perché è dimagrito, perché è ingrassata, perché interpretava il malato terminale…
Io ad esempio avrei dato sia il miglior protagonista che il miglior non protagonista a Leto. 🙂
Film per me "solo" discreto ed interpretato alla grande, conclusione di post ottima.
Brava.
Grazie infinite!
Un film più importante che bello, dove i fatti narrati (per quanto assolutamente autentici) appaiono comunque stereotipati e senza sorprese, nella piena tradizione americana. Va comunque riconosciuto al regista il merito del'onestà dell'operazione. Straordinari gli interpreti.
Concordo in pieno. È piuttosto distante dalla nostra cultura (credo, io all'epoca portavo il pannolino) e forse anche per questo arriva a noi con maggiore freddezza, però racconta la sua storia senza inutili fronzoli e senza faciloneria.
Ottima conclusione e film molto interessante, me lo segno.