It Follows (2014, David Robert Mitchell)

La Recensione di It Follows: All You Can Do Is Pass It On To Someone Else

Nelle ultime decadi abbiamo assistito ad un totale appiattimento del genere horror, dovuto probabilmente anche all’ascesa ed all’abuso del mockumentary, che se da un lato ha permesso di mettere in scena delle buone idee con un basso budget (sì, sto guardando verso la Spagna), dall’altro ha portato ad una perdita totale e generalizzata della tecnica di costruzione della paura. Da un certo punto di vista, It Follows, ancora non arrivato in Italia, sembrerebbe rappresentare proprio l’anti-mockumentary, perché – finalmente! – una macchina da presa carismatica e birichina si interpone tra la narrazione e lo spettatore, ricordandoci quanto questa interferenza possa risultare funzionale e gratificante.

Maika Monroe in It Follows

Il soggetto su cui si basa la trama è piuttosto semplice: una maledizione che viene trasmessa proprio come una malattia, uno specifico tipo di malattia. Prendiamoci per mano e diciamolo assieme: eccolo lì, il me-ta-fo-ro-ne. Il metaforone, sebbene si presti a diverse sfumature di analisi, è piuttosto esplicito, ma non sarò io a parlarvene, un po’ perché lo hanno già fatto in tanti (prima e meglio), un po’ perché non è chiaro neanche a me quanto c’entri la consapevolezza della morte o quanto sia stato buttato un po’ lì a caso come alcuni risvolti di cui parleremo tra poco.

Dato che atavicamente il Male non ha forma ma la paura ce l’ha (eccome), nella pellicola la maledizione assume un corpo differente ogni volta che entra in scena, ottenendo così il duplice risultato di perseguire un concetto piuttosto originale e di non permettere allo spettatore di abituarsi al “mostro”. Che sia una anziana signora in camicia da notte o una giovane donna a seno nudo, il Male ha lo strano vizio di seguire chi è vittima della maledizione.

Quella cosa è “lenta, ma non è stupida” e se ti prende sono guai.

Una Scena di It Follows

Vittima, suo malgrado, della trasmissione della malattia barra maledizione è la giovane Jay (Maika Monroe, The Guest), attorno alla quale si stringono la sorella ed una ristrettissima cerchia di amici. Come in Gus Van Sant gli adulti, se presenti, sono messi ai margini dell’inquadratura o, ancora peggio, raffigurano la presenza malevola. Come nel Craven anni ’90, i protagonisti sono degli adolescenti spaventati ed inesperti, con la differenza che Jay, Kelly e gli altri non si dedicano ad alcol e feste, ma sembrano condurre un’esistenza piuttosto grigia e noiosa in una Detroit altrettanto plumbea. I loro comportamenti e le ambientazioni (una piscina sporca, un quartiere periferico che di periferia non è), infatti, sembrerebbero suggerire una sorta di degrado latente, una specie di decadenza del ceto medio che attualizza più che mai il contesto di questa narrazione.

Ma ciò che rende speciale questa pellicola è la macchina da presa di David Robert Mitchell, che rotea e volteggia e sorprende con la grazia di una ballerina classica, con un’esuberanza e un mordente che avevamo quasi dimenticato. Meravigliosi piani sequenza si alternano ad un utilizzo geniale della slow-motion in questo carosello della tecnica nel quale persino il sonoro è impiegato in maniera magistrale, mettendo da parte gli stupidi jump scare e lasciando che siano il synth anni ’80 ad inquietare ed il rumore dei passi a far paura.

La costruzione della scena è in più di un momento talmente esemplare da lasciare il segno. Mi riferisco in particolare alla sequenza della sosta in spiaggia, dove si è portati a contare e ricontare i personaggi presenti nell’inquadratura, a capire cosa stia per accadere e – nonostante questo – a farsi distrarre da uno stacco della camera, irriverente e dissacratorio, per poi lasciarsi assalire da un brivido, da quel brivido che si cerca in tutti gli horror e che spesso viene negato.

Una scena di It Follows

Ma anche in altre sequenze It Follows riesce a spaventare e lo fa fondendo assieme ed egregiamente l’idea iniziale al lavoro del regista, che raffigura l’ingresso in scena del Male, o meglio della sua forma corporea temporanea, in inquadrature statiche che amplificano l’impossibilità di reagire o ancora assumendo una focalizzazione diversa dal punto di vista di Jay, l’unica che può vederlo.

Eppure.

Ho sempre pensato che una buona regia dovesse inchinarsi alla storia che racconta. Purtroppo però in It Follows è la trama a piegarsi di fronte al fattore estetico: Mitchell, anche sceneggiatore della pellicola, sembra farsi prendere un po’ troppo da quell’alone di autorialità che pervade il film e dimentica di fornire dei passaggi coerenti alle scelte dei personaggi. Anche accettando a braccia aperte la mancanza di spiegazione, le decisioni ambigue e sospese ed il finale tronco, non si può non ammettere che da un certo punto in poi la sceneggiatura si incammini su di un WTF grande quanto un vecchio centro sportivo abbandonato, regalando nella sua porzione conclusiva una sequenza – a quanto pare volutamente – tanto incantevole quanto illogica.

It Follows è bello, bellissimo, ma senz’anima.

  • Sceneggiatura
  • Originalità
  • Regia
  • Fotografia
  • Recitazione
  • Cuore
3.8

Riassunto

Con It Follows David Robert Mitchell ci regala un film tanto tecnicamente e stilisticamente bello quanto logicamente vuoto. Un vero peccato.

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4.5 (2 votes)
It Follows | Poster

It Follows (U.S.A., 2014)

Regia: David Robert Mitchell
Sceneggiatura: David Robert Mitchell
Fotografia: Mike Gioulakis
Montaggio: Julio C. Perez IV
Musiche: Disasterpeace
Cast: Maika Monroe, Lili Sepe, Keir Gilchrist, Daniel Zovatto
Genere: horror, candidosi
Data d’uscita italiana: 6 luglio 2016
Se ti piace guarda anche: Sinister (2012), Oculus (2013), The Babadook (2014).

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12 Comments

  1. James Ford 22/08/2015
  2. Mr Ink 22/08/2015
    • StepHania Loop 30/08/2015
  3. Jean Jacques 22/08/2015
    • StepHania Loop 30/08/2015
  4. Frank R. 22/08/2015
  5. Bara Volante 23/08/2015
    • StepHania Loop 30/08/2015
  6. Anonimo 26/10/2015
  7. Anonimo 26/10/2015
    • StepHania Loop 30/10/2015
  8. Nelson Pinna 14/12/2015

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