La Recensione di It Follows: All You Can Do Is Pass It On To Someone Else
Nelle ultime decadi abbiamo assistito ad un totale appiattimento del genere horror, dovuto probabilmente anche all’ascesa ed all’abuso del mockumentary, che se da un lato ha permesso di mettere in scena delle buone idee con un basso budget (sì, sto guardando verso la Spagna), dall’altro ha portato ad una perdita totale e generalizzata della tecnica di costruzione della paura. Da un certo punto di vista, It Follows, ancora non arrivato in Italia, sembrerebbe rappresentare proprio l’anti-mockumentary, perché – finalmente! – una macchina da presa carismatica e birichina si interpone tra la narrazione e lo spettatore, ricordandoci quanto questa interferenza possa risultare funzionale e gratificante.
Il soggetto su cui si basa la trama è piuttosto semplice: una maledizione che viene trasmessa proprio come una malattia, uno specifico tipo di malattia. Prendiamoci per mano e diciamolo assieme: eccolo lì, il me-ta-fo-ro-ne. Il metaforone, sebbene si presti a diverse sfumature di analisi, è piuttosto esplicito, ma non sarò io a parlarvene, un po’ perché lo hanno già fatto in tanti (prima e meglio), un po’ perché non è chiaro neanche a me quanto c’entri la consapevolezza della morte o quanto sia stato buttato un po’ lì a caso come alcuni risvolti di cui parleremo tra poco.
Dato che atavicamente il Male non ha forma ma la paura ce l’ha (eccome), nella pellicola la maledizione assume un corpo differente ogni volta che entra in scena, ottenendo così il duplice risultato di perseguire un concetto piuttosto originale e di non permettere allo spettatore di abituarsi al “mostro”. Che sia una anziana signora in camicia da notte o una giovane donna a seno nudo, il Male ha lo strano vizio di seguire chi è vittima della maledizione.
Quella cosa è “lenta, ma non è stupida” e se ti prende sono guai.
Vittima, suo malgrado, della trasmissione della malattia barra maledizione è la giovane Jay (Maika Monroe, The Guest), attorno alla quale si stringono la sorella ed una ristrettissima cerchia di amici. Come in Gus Van Sant gli adulti, se presenti, sono messi ai margini dell’inquadratura o, ancora peggio, raffigurano la presenza malevola. Come nel Craven anni ’90, i protagonisti sono degli adolescenti spaventati ed inesperti, con la differenza che Jay, Kelly e gli altri non si dedicano ad alcol e feste, ma sembrano condurre un’esistenza piuttosto grigia e noiosa in una Detroit altrettanto plumbea. I loro comportamenti e le ambientazioni (una piscina sporca, un quartiere periferico che di periferia non è), infatti, sembrerebbero suggerire una sorta di degrado latente, una specie di decadenza del ceto medio che attualizza più che mai il contesto di questa narrazione.
Ma ciò che rende speciale questa pellicola è la macchina da presa di David Robert Mitchell, che rotea e volteggia e sorprende con la grazia di una ballerina classica, con un’esuberanza e un mordente che avevamo quasi dimenticato. Meravigliosi piani sequenza si alternano ad un utilizzo geniale della slow-motion in questo carosello della tecnica nel quale persino il sonoro è impiegato in maniera magistrale, mettendo da parte gli stupidi jump scare e lasciando che siano il synth anni ’80 ad inquietare ed il rumore dei passi a far paura.
La costruzione della scena è in più di un momento talmente esemplare da lasciare il segno. Mi riferisco in particolare alla sequenza della sosta in spiaggia, dove si è portati a contare e ricontare i personaggi presenti nell’inquadratura, a capire cosa stia per accadere e – nonostante questo – a farsi distrarre da uno stacco della camera, irriverente e dissacratorio, per poi lasciarsi assalire da un brivido, da quel brivido che si cerca in tutti gli horror e che spesso viene negato.
Ma anche in altre sequenze It Follows riesce a spaventare e lo fa fondendo assieme ed egregiamente l’idea iniziale al lavoro del regista, che raffigura l’ingresso in scena del Male, o meglio della sua forma corporea temporanea, in inquadrature statiche che amplificano l’impossibilità di reagire o ancora assumendo una focalizzazione diversa dal punto di vista di Jay, l’unica che può vederlo.
Eppure.
Ho sempre pensato che una buona regia dovesse inchinarsi alla storia che racconta. Purtroppo però in It Follows è la trama a piegarsi di fronte al fattore estetico: Mitchell, anche sceneggiatore della pellicola, sembra farsi prendere un po’ troppo da quell’alone di autorialità che pervade il film e dimentica di fornire dei passaggi coerenti alle scelte dei personaggi. Anche accettando a braccia aperte la mancanza di spiegazione, le decisioni ambigue e sospese ed il finale tronco, non si può non ammettere che da un certo punto in poi la sceneggiatura si incammini su di un WTF grande quanto un vecchio centro sportivo abbandonato, regalando nella sua porzione conclusiva una sequenza – a quanto pare volutamente – tanto incantevole quanto illogica.
It Follows è bello, bellissimo, ma senz’anima.
- Sceneggiatura
- Originalità
- Regia
- Fotografia
- Recitazione
- Cuore
Riassunto
Con It Follows David Robert Mitchell ci regala un film tanto tecnicamente e stilisticamente bello quanto logicamente vuoto. Un vero peccato.
User Review
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( votes)It Follows (U.S.A., 2014)
Regia: David Robert Mitchell
Sceneggiatura: David Robert Mitchell
Fotografia: Mike Gioulakis
Montaggio: Julio C. Perez IV
Musiche: Disasterpeace
Cast: Maika Monroe, Lili Sepe, Keir Gilchrist, Daniel Zovatto
Genere: horror, candidosi
Data d’uscita italiana: 6 luglio 2016
Se ti piace guarda anche: Sinister (2012), Oculus (2013), The Babadook (2014).
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Concordo in pieno.
Tecnicamente spettacolare, per tutto il resto vuoto come una bottiglia dopo una nottata al Saloon. 😉
E io che speravo lo trovassi anche tu inutile e indicibilmente palloso. 😛
Eh, già… per una volta non ti SEGUO. 🙂
Concordo su quasi tutto. Bello il metaforone (anche se fuori tempo massimo) e la messa in scena è superlativa, ma alla fine, per quanto abbia apprezzato il finale apparentemente tronco, finisce col proverbiale pungo di mosche in mano.
Però non gli perdono la scena della piscina, quella è di una stupidità più unica che rara.
Sì, infatti, è proprio quello il problema: da qualunque prospettiva la si guardi, la sequenza della piscina non ha alcun senso logico. Peccato.
Beh, sono anche d'accordo con te solo che io, cara conterrona, penso che più che mancanza di sostanza si tratti di una certa superficialità narrativa. Una certa fretta nel tratteggiare i personaggi e certi momenti della narrazione
Mi spiace che non ti sia piaciuto, il regista porta avanti il suo discorso sui giovani con grande coerenza, la scena della piscina è stupidissima, l'unica spiegazione che mi sono dato è che sia un piano congeniato da ragazzi giovani senza una guida adulta, infatti gli adulti sono assenti dal film 😉 Cheers!
Già, la spiegazione che dai è la stessa fornita da Mitchell. È che visti tutti gli spunti interessanti, la regia strepitosa, la costruzione scenica che signora-mia-che-ne-parliamo-a-fare, mi manda in bestia il fatto che di punto in bianco salti fuori un’evoluzione narrativa così illogica.
Ecco parte di un'intervista al regista riguardo la scena della piscina:
Talk to me about our heroes' final plan to kill the monster in the pool. I was rooting for them, but I also felt like it was sort of naïve to think that plan would work, given how little they really know about the monster.
It’s the stupidest plan ever! [Laughs.] It's a kid-movie plan, it’s something that Scooby-Doo and the gang might think of, and that was sort of the point. What would you do if you were confronted by a monster and found yourself trapped within a nightmare? Ultimately, you have to resort to some way of fighting it that’s accessible to you in the physical world, and that’s not really going to cut it. We kind of avoid any kind of traditional setup for that sequence, because in more traditional horror films, there might be a clue that would lead them to figure out a way to destroy this monster. I intentionally avoided placing those. Instead, they do their best to accomplish something, and we witness its failure. It’s probably a very non-conventional way of approaching the third-act confrontation, but we thought it was a fun way to deal with it.
Initially, they do fail to dispatch the monster, but after several gunshots to the head, the pool fills with the monster's spreading blood and they can escape. At first, it's a relief — it seems like the monster has finally been slayed — but as the blood cloud keeps expanding outward, it becomes a more and more ominous visual.
All I can tell you is that I've talked to people who have read that as a conclusion — they see that sequence and believe that the monster has been destroyed — and then there are other people who see it and feel that it's a sign of their inability to destroy it, or for it to be destroyed, period! I imagine people can figure out how I feel about that shot, but I won’t say specifically.
Dimenticavo, secondo un tweet pubblicato dal regista la scena della piscina sarebbe un "chiaro" riferimento a Cat people.
Grazie per l’approfondimento.
Purtroppo però personalmente continuo a non essere convinta… Forse perché, anche se i protagonisti sono adolescenti, mi aspettavo un qualche nesso logico nel loro piano per far fuori il Male. So’ giovini, mica stupidi. No?
Non posso che concordare. Film “autorialmente” rilevante, con tante belle soluzioni di regia ma purtroppo carente di ciò che dovrebbe essere il nettare di un film: l’introspezione, la storia, l’anima. Per questo per me è un film abbastanza sopravvalutato. Un bell'oggetto da tenere sulla scrivania ma inesorabilmente inutile.