Save The Cheerleader, Save The World
La leggenda narra che il genio di Darren Aronofsky – indimenticabile regista di Requiem for a Dream (2000) e Black Swan (2010) – avesse in mente una sorta di biopic su Noah sin dall’adolescenza. La ragione indicherebbe che, anche se si trattasse effettivamente di un desiderio del regista, la realizzazione di un’opera così concettualmente imponente e così dannatamente costosa richieda ben più di un compromesso. Il sospetto però – e a pensar male raramente si sbaglia – è che il nostro caro Darren dovesse rifare il bagno del piano di sopra della sua casa a Brooklyn.
Noah appare, almeno inizialmente, proprio quello che i suoi primi trailer lasciavano trasparire: un ibrido, a tratti privo di una morale religiosa, tra un colossal biblico e un blockbusterone coi supereroi. Dietro la superficie, però, si celano due grossi intoppi: il Noah di Aronofsky e di Ari Handel (co-sceneggiatore) è tutt’altro che un eroe e la fede non viene tratteggiata come una virtù incondizionata.
Occorrerebbe fare un passo indietro e chiedersi come ci si sarebbe posti di fronte a quest’opera se non fosse stata firmata e filmata da uno dei nomi più importanti e visionari della storia del cinema moderno (eccallà, l’ho detto). Io posso dire la mia, ovvero che la Bibbia, in tutta onestà, non è il mio libro preferito e che se, accecata dalla boria, avessi potuto essere io ad assegnare un tema ad Aronofsky, tutto gli avrei dato fuorché qualcosa di vagamente religioso. Ad aggiungersi a questa scarsa curiosità di fondo, prima della visione avevo fatto il pieno di recensioni stroncanti ed avevo intuito di non essere di fronte ad un capolavoro. Tuttavia, data anche la pesante operazione di marketing che è stata fatta attorno a Noah, ho premesso alla visione due pensieri: “se qualcuno ci si deve fare i soldi, è meglio che ci se li faccia uno bravo come Aronofsky” e “Darren, è capace che gli altri non ti abbiano capito, magari ti capisco io. Vieni qua e fammi vedere”.
La pellicola sembrerebbe idealmente divisa in due parti. Una prima, più lenta, costruttiva e sicuramente più interessante della sua evoluzione, attinge a piene mani dalla filosofia dell’antispecismo, corrente socio-politica che condanna nettamente l’egocentrismo dell’animale uomo a spese delle altre specie animali. Da non confondersi assolutamente con il naturalismo (cui spesso si oppone), l’antispecismo è presente nel disgusto di Noah nel veder uccidere gli animali (puri ed innocenti) e nutrirsi delle loro carni (perché “credono li renda più forti”). Anche un dialogo presente nella seconda parte del film riporta a tale concetto: il clandestino Tubal-cain (Ray Winstone) si lascia andare ad un’interpretazione secondo la quale l’uomo è stato creato proprio per dominare le altre specie. Un concetto per alcuni versi condivisibile anche dalla filosofia antispecista (che parla dell’uomo come dell’animale più evoluto e per questo investito di responsabilità tali da obbligarlo a prendersi cura delle altre specie), fino a che alla parola “dominare” non si sostituisce la parola “sottomettere” (sostituzione che Tubal-cain effettua senza mezze misure durante il dialogo).
Si avvisa la gentile clientela che nel ruolo di Mathuselah (Matusalemme), nonno del vegetariano (e nonno di tutti), c’è Hannibal The Cannibal (Anthony Hopkins).
Il richiamo a questa importantissima corrente non è certo nè banale nè semplice, dato che è inserito in un contesto – la Bibbia – che non è certamente un inno al rispetto degli animali o alla dieta vegetariana, zeppo com’è di sacrifici da effettuare e vitelli grassi da sgozzare. Personalmente mi sarebbe bastato che Noah continuasse a martellare questo concetto, affinché un qualche significato di Bene venisse fuori, affinché potessi dare una forma a quest’opera. Purtroppo Earthlings (scioccante documentario-manifesto antispecista, narrato dal buon Jaquin Phoenix) esiste già, e Noah abbandona troppo presto questo punto focale.
Si avvisa la gentile clientela che nel ruolo di Ila c’è Emma Watson che fa le faccette.
La seconda parte della pellicola dà il via ad un polpettone familiare intriso di ossessione e raccapriccio, nel quale infanticidio ed incesto sembrano essere le indispensabili soluzioni di due squadre rivali per salvare il mondo. Noah (quello shar pei di Russell Crowe), figura scostante, oscura e crudele, si contrappone ai suoi cari, pronto a compiere qualunque gesto gli venga ordinato o suggerito da voi-sapete-chi. La moglie Naameh (Jennifer Connelly, che ha già lavorato col regista in Requiem for A Dream) sembrerebbe disposta a tutto per dare un prosieguo al suo genoma. Il figlio Ham (Logan Lerman, già al fianco di Emma Watson in The Perks of Being a Wallflower) è accecato dalla sete di vendetta al punto tale da non agire razionalmente. Non c’è il Bene in Noah. Non c’è catarsi, non c’è speranza, non c’è scampo. In Noah si arriva a tifare per l’estinzione della specie umana.
Si avvisa la gentile clientela che nel ruolo degli angeli decaduti c’è Mordiroccia de La Storia Infinita.
Visivamente ineccepibile, il lavoro di Aronofsky si concede campi lunghi ed effetti speciali memorabili, digressioni sulla creazione e sequenze da film apocalittico, una mancata presa di posizione e la consueta fotografia di Matthew Libatique. Tuttavia Noah si lascia andare ad una ferrea, costante, spocchiosa presunzione e ad alcune scelte musicali e di script decisamente melodrammatiche e fuori luogo.
Quale chiave di lettura voleva dare il nostro caro Darren al suo Noah? Quella di un uomo talmente accecato dalla fede da non distinguere il giusto dall’ingiusto, l’innocente dal colpevole? Quella di una rilettura distaccata ed a tratti cinica del personaggio biblico? Quella di un uomo che (dato che non vediamo voi-sapete-chi, né sentiamo la sua voce) in realtà si era fatto un acido a.C. bello potente? Purtroppo l’intenzione originaria non viene mai palesata e, purtroppo, Noah è uno di quei casi in cui la mancata presa di posizione si porta dietro l’olezzo di non voler scontentare nessuno.
Noah (U.S.A. 2014)
Regia di: Darren Aronofsky
Sceneggiatura di: Darren Aronofsky e Ari Handel
Cast: Russell Crowe, Jennifer Connelly, Anthony Hopkins, Emma Watson, Ray Winston
Genere: fantasy apocalittico
Data d’uscita italiana: 10 aprile 2014
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Non so. Continua a non ispirarmi per nulla.
Mah. Forse, martedì, una scappata al cinema la faccio.
Il biglietto per la versione non in 3D posso pure spenderli. E a me il 3D dà troppo fastidio, quindi poco male 🙂
*ecco, volevo dire che il biglietto costa quattro euro, quel giorno. Ho perso un pezzo per strada.
A me la stroncatura sembra eccessiva… il male ed il bene che si contrappongono in tutti noi da questo film vige in ogni angoletto ed in ogni inquadratura di quest'opera! Esiste in tutti i "soggetti" (dii, vigilanti, uomini adamici, uomini cainici) che vengono dichiarati possessori di coscienza e raziocinio, e il simpaticone che si doveva rifare il bagno trascina inevitabilmente anche lo spettatore a dover decidere inconsciamente di schierarsi prima con il bene e poi con il male e poi di nuovo con il male e poi con il bene! Ed alla fine quello che all'inizio viene dichiarato essere il, male, il reietto, colui da isolare e da annichilire, ecco proprio lui sarà l'eroe!
(Attenzione: spoiler sul film, anche se più o meno si sa che cade l'acqua e sopravvivono in pochi).
Provo a spiegare ciò che ho visto io, fermo restando che potrebbe essere giusto o sbagliato (e giusto e sbagliato), dato che tu-sai-chi a me non parla.
Per quanto ne so (e ne so molto poco), le scritture raccontano che i tre figli di Noé si imbarcarono con le rispettive mogli, cosa che non avviene nell'opera di Aronofsky. Questo per me è un punto fondamentale, perché fa sì che nella seconda parte della pellicola la contrapposizione sia tra Noah (il male), che – credendo di parlare con dio – si convince di dover uccidere una eventuale nipote femmina, e Naameh (il male) – la moglie – che è giustamente contraria all'infanticidio, ma con motivazioni piuttosto opinabili… Sembrano praticamente una famiglia di pazzi, a cui però è affidata la discendenza della razza umana.
Il reietto/eroe, come dici tu, alla fine si allontana, ma per fare cosa? Non è rimasto più nulla, non c'è più nessuno. Non c'è niente di eroico da compiere. Dice alla "coniata" che è contento che la progenie dell'umanità sia stata affidata a lei, ma le bambine (nella migliore delle ipotesi) se la faranno con lo zio. Quanto è creepy tutto ciò? Quanto è racapricciante quel "ce ne ha mandate due, tutto quello che ci serve"?
Io purtroppo continuo a non capire le intenzioni di fondo, continuo a non riuscire a schierarmi perché non vedo il Bene. E mi dispiace, perché per la stima che provo per il regista avrei tanto voluto poter difendere quest'opera.
Io ho detto "vieni qua e fammi vedere" e né Aronofsky né tu-sai-chi mi hanno parlato.
Allora per capirci:
1) probabilmente il "reietto" andrà a farla finita probabilmente riempiendosi di pugnette aldilà del bosco ed aldilà del bene e del male, e probabilmente farà l'unica cosa giusta E CORAGGIOSA da fare; si riconosce come "male" e decide di mettere in atto l'insegnamento del noé patre! Gli altri che rimangano sono lo specchio esatto di questa società di merda che vive la superficialità e l'apparenza come essenza dei propri valori (proprio quello che dici tu, per esempio, in merito alla pochezza delle motivazioni "matrigne")
2) il bene e il male sono (quante banali ovvietà dico) le facce della stessa medaglia; c’è chi si ostina a volersi definire benigno o maligno, invece, l'umano destino è "sedere" sulla giostra dell'umana/disumanità chiamato TAGADA' (scusate le rime non erano volute). Con tutto lo sforzo che compi nella tua vità non riuscirai a rimanere fermo e seduto sempre dalla parte del bene (o chi vuole del male).
Darren è colui che con arroganza e coraggio (come nei peggiori luna park di Caracas) è quello che ha deciso di alzarsi dal proprio posto e mettersi al centro della giostra ed osservare tutti gli arrogantelli suoi pari che, invece, vogliono, ostinatamente rimanere seduti al posto del bene (o del male).
Quello che ho capito io è che se riconosci in te il male, vai a sfondarti di pugnette e non romper il cazzo agli altri, e se lo fai sei il vero GIUSTO!
Incuriosito, anche se non desideroso di vederlo al 100%.
Per me è stato solo un polpettone per famiglie bigotto-cattolico-ebraiche che vanno al cinema, vedono un loro "eroe", possono riempirsi la bocca di ARONOFROSCHI, CROU, EMMAUOZZON, e andare dagli amici a dire di aver visto un film "che non è per tutti, devi capirne la poetica". Poi la scelta dei distributori italiani di lasciare il titolo NOAH, quando tutti durante il film lo chiamano NOE' mi sembra perlomeno geniale.
La scelta di lasciare il titolo "Noah" ha generato tutta una serie di stupide storpiature feisbucchiane con "Noha", che è un post(acci)o qua dalle mie parti. Belle cose.
E' che noi non ne abbiamo capito la poetica… mica è per tutti?! 🙂 Però il sentire "Aronofroschi" in bocca a chiunque mi dà fastidio. Quasi quasi sequestro Aronofsky e lo nascondo in cantina fino a che la massa se ne dimentica.