Steve Jobs, il film: un iPod non è per sempre, il Jobs Act (forse) sì

Steve Jobs, la recensione del film: no, non è un flop, è il vero Jobs Act (nessun iPod è stato maltratto durante la stesura di questo post)

Non ho mai idolatrato Steve Jobs né sono mai stata una fangirl delle iCose e dei cavetti della mela mangiucchiata, ma ho avuto un oggettino targato Apple: un iPod Classic del 2007. Abbiamo cambiato tante lettiere, abbiamo pulito tanti vetri assieme. Qualche settimana fa quell’oggettino ha esalato l’ultimo respiro. Si è spento nel sonno, da scarico. Non piango per lui, né mi manca il click della rotellina centrale, sono invece amareggiata perché se pago una iCosa una cifra astronomica allora vorrei mi fosse assicurata per tutte le lettiere e i vetri della mia vita. Ecco, secondo me anche l’iPod di Sorkin s’è rotto.

È compito di Sorkin raccontarti come si è rotto il suo iPod e chi era Steve Jobs; ma come sono andati davvero i fatti che hanno portato a Steve Jobs, il film, te lo racconto io. Oh, in e-sclu-si-va!

Stati Uniti, 2012.

Se questa pellicola fosse stata firmata da David Fincher, come inizialmente previsto, avremmo visto gli elettroni intraprendere una danza scatenata dall’alimentatore al trasformatore, li avremmo visti combattere gli uni contro gli altri – stilosissimi – per saturare il primo transistor e li avremmo visti chiudersi in un abbraccio di uni e di zeri che oramai governa il nostro mondo. E invece Fincher si tirò indietro dopo aver sentito della maledizione dell’iPod mentre origliava una conversazione tra la segretaria di Sorkin, Andy, e il suo fidanzato, Andy. Fincher telefonò quindi a Christian Bale, che avrebbe dovuto interpretare il protagonista, e le cose andarono più o meno così:

Fincher: Uè, Christià!

Bale: Oè, David, dimmi.

Fincher: Quella faccenda del biopic su Steve Jobs, quella cosa con cui s’è fissato Aaron… Gniente, mi sa che me ne tiro fuori…

Bale: Maddai, perché?

Fincher: (dopo un sospiro, mentre mentalmente inquadra le molecole di ossigeno che diffondono attraverso l’epitelio alveolare e la membrana respiratoria fino a giungere – stilosissime – all’endotelio capillare) Tu ce l’hai l’iPod?

Bale: Certo, David, come potrei vivere senza il click della rotellina centrale?

Il resto è storia. Fincher, chiusa la telefonata con Bale, chiamò immediatamente la Signora Universal per proporre la geniale idea che aveva avuto poc’anzi: un film sulla respirazione. La linea però era disturbata, quindi quando Fincher accennò alla “Legge di Boyle”, la Universal fraintese e, anziché pensare allo scambio di gas nei polmoni, pensò allo scambio di registi nei biopic.

Purtroppo la conversazione successiva è tuttora top secret, ma si sa per certo che la Universal affidò la regia di Steve Jobs a Danny Boyle, che l’iPod non l’ha mai avuto e, anche se non sa usare Linux, in ufficio c’ha Open Office perché ha paura pella finanza. È un puro di cuore il nostro Danny, per questo mai si sarebbe aspettato l’imboscata che il perfido e vendicativo sceneggiatore Aaron Sorkin stava tramando alle sue spalle:

Boyle: Uè, Aa’, allora?

Sorkin: Te l’hanno detta quella cosa dell’iPod?

Boyle: Sì sì, tranquillo, c’ho il mangiacassette. Ma piuttosto? Che facciamo? Facciamo un filmone strappalacrime con Steve Jobs che viene licenziato dall’azienda che lui stesso ha contribuito a portare al successo? Ci mettiamo tutto il discorso dello “stay hungry, stay foolish”, con la voce originale fuoricampo mentre sullo schermo va una bella inquadratura di un razzo, tra fiamme e scintille?

Sorkin: Danny, veramente io pensavo a qualcosa di diverso. Tipo il ritratto di uno Steve Jobs ossessionato da se stesso, peggio di Iñárritu…

Boyle: Iñáchi?

Sorkin: Niente, niente. Pensavo di tratteggiarlo più come uno spocchione che un genio, come uno che tiene all’estetica più che al contenuto, tipo Iñárritu…

Boyle: Ma chi è st’Iñárritu? Fa le cuffiette per la musica?

Sorkin: No, no. Vabbé, Danny, in parole povere, lo dipingiamo come una persona dimmerda, però tra le righe, così si capisce e non si capisce.

Boyle: Eh, Aa’, ma così non ce lo danno l’Oscar.

Sorkin: Vabbé, Danny, però puoi tenere il razzo, dai. E poi l’Oscar non serve a niente, pensa che il mio s’è pure rotto.

La leggenda narra che la conversazione si protrasse per altri diciotto giorni, durante i quali Sorkin continuò a parlare e parlare, stordendo di chiacchiere il povero Boyle che finì quasi per dimenticare la faccenda del razzo. Quasi.

Ma quei camion stanno scaricando… il copione?

Italia, 2016.

Provo a fare la persona seria.

Negli ultimi tempi il biopic, un genere complesso e pericoloso, sembra essere tornato sulla cresta dell’onda: lo scorso anno si aprì con American Sniper e Big Eyes, cui seguirono lo strappalacrime La Teoria del Tutto e il meglio riuscito dell’infornata, The Imitation Game. Il 2015 si è poi chiuso con Il Ponte delle Spie ed ha lasciato spazio al recentissimo The Revenant. Tutti film biografici o biopic, appunto.

Eppure in alcuni di questi titoli (cecchino, cecchino!) mancava l’elemento più prezioso del genere: il punto di vista, che può essere elogiativo, irrispettoso, sarcastico o qualsiasi cosa voglia essere. Ebbene, signori della corte, in Steve Jobs il punto di vista è presente, può essere non condiviso (e da molti non lo sarà), ma c’è, è grosso quanto Seth Rogen e ruba la scena persino a Michael Fassbender.

La trama di Steve Jobs

Ciò che viene raccontato, infatti, non è la lineare esperienza di vita del protagonista, ma tre atti, tre spezzoni, tre frenetici momenti che precedono altrettante presentazioni di importanti prodotti: il Macintosh 128K nel 1984, il NeXT del 1988 e l’iMac G3 nel 1998. A rappresentare il clamore mediatico perennemente generato dai lanci ma anche gli albori della filosofia del “think different” (different from what?), viene quasi da subito tirato in ballo lo spot del Macintosh “1984” diretto da Ridley Scott e ritenuto da molti lo spot più bello di tutti i tempi, quello che chiudeva la storyline della prima stagione di Halt and Catch Fire, quello del computer che dice “hello” e fa i gestacci all’IBM.

La regia di Danny Boyle

Danny Boyle ha firmato in passato pellicole del calibro di Trainspotting, The Beach, The Millionaire, quel 127 Ore di cui si parlava qualche giorno fa e uno dei miei z-movies del cuoricino, 28 Giorni Dopo. Boyle di fondo è un truzzone e lo amiamo anche per questo.

Eppure qui il nostro Danny mette il completino della domenica, si fa da parte il più possibile per non appesantire la sceneggiatura e – anche se ad un certo punto non riesce a trattenersi e parte a razzo (o meglio, gli parte proprio un razzo) – fa un lavoro sottile, elegante: sceglie di girare i tre capitoli che compongono il film con tre tecniche diverse, in 16mm (come Carol), in 35mm ed infine in digitale.

Una scelta furba, dici? Ma no, è una scelta utile e soprattutto adatta alla narrazione, il tipo di scelta che solo i grandi possono intraprendere.

La sua mano è leggera, quasi timorosa, ma afferra vigorosamente la pellicola quando è necessario ed a un certo punto costruisce un carosello di regia e montaggio così ben riuscito che ti alzeresti in piedi ad applaudire, se anche il solo pensarlo non significasse perdere le settecentoventicinque battute del minuto successivo.

La sceneggiatura di Aaron Sorkin

E qui veniamo al punto: la sceneggiatura di Aaron Sorkin, quel Sorkin che non è più un semplice uomo, è diventato una sorta di creatura alata che scrive vestita solo della sua saliva.

Il nostro Sorkin è uno che “pensa diversamente”, uno che ha a cuore il potere dell’informazione, la democrazia e le persone comuni. Chi lo conosce sa, magari ha seguito The Newsroom o ha visto quella pellicola immensa che è The Social Network. Chi non lo conosce si troverà per la prima volta di fronte a dei dialoghi a stato solido che vanno a delineare una sorta di western, nel quale il pistolero Jobs è costantemente impegnato in un duello verbale con qualcuno, che sia la sua fida assistente Joanna Hoffman (Kate Winslet), la sua figura paterna John Sculley (Jeff Daniels) o uno dei due malcapitati Andy.

Anvedi ‘sta cicciona.

Un flop, ma solo per chi non “pensa differente”

Negli States il film è uscito ad ottobre ed è stato un tale flop che la Signora Universal ha preferito optare per il ritiro dalle sale. Dopo la visione, si può banalmente ipotizzare perché: la figura di Jobs che ne viene fuori è molto lontana da quella che il pubblico evidentemente si aspettava. Steve Jobs era un genio?

Forse, ma non era solo questo, era anche un uomo saccente, ossessionato dall’estetica e pronto a dare ordini a chicchessia, ma non altrettanto pronto a riconoscere la figlia Lisa di fronte all’evidenza di un test di paternità. Lo so, non sta bene parlare in questi termini di qualcuno che se ne è andato poco più di quattro anni fa, ma basta dare un’occhiata alla sua biografia per capire che Sorkin non ha dovuto inventare niente, anzi per certi versi c’è andato leggero.

Forma vs. sostanza: il marketing non è progresso

Perché infatti io, te e Sorkin siamo rappresentati dal personaggio di Wozniak (tanto c’è posto, lo interpreta Seth Rogen), che assieme a lui mise a punto il primo Apple I in un garage, che ha sempre preferito puntare al numero di slot piuttosto che al cubo perfetto, che ha provato sino alla fine ad essergli amico. Nella realtà Steve (Wozniak) abbandonò la Apple nel 1985 per fondare una sua società, che dovette chiudere poco dopo perché Steve (Jobs) costrinse i fornitori a boicottarla. Capisciammé.

Quindi se da un lato sono i personaggi di Wozniak e del programmatore Andy Hertzfeld (Michael Stuhlbarg) a rappresentare la sostanza, la tecnologia ed il progresso (che in quanto tale deve essere alla portata di tutti… i portafogli); dall’altro il controverso personaggio di Steve Jobs qui rappresenta la forma ed il mercato, inteso sì come marketing, ma anche come subdola necessità di far nascere un’esigenza nel consumatore o di reprimere quello che dovrebbe essere un diritto di chi compra.

Perché, dai, “think different” è solo uno slogan. Bello eh, ma pur sempre una trovata pubblicitaria.

La citazione:

Steve Jobs: Hollywood ha fatto dei computer una cosa che spaventa; vedi invece come ti ricorda un volto amico? Come lo slot del floppy è un sorrisetto? È cordiale, è divertente e ha voglia di dirti “ciao”. E vuole dirtelo perché sa farlo.

Joanna Hoffman: Il computer di Odissea nello Spazio diceva “ciao” continuamente e mi spaventava lo stesso a morte.

  • Sceneggiatura
  • Originalità
  • Regia
  • Fotografia
  • Recitazione
  • Cuore
3.8

in sintesi

Negli States è stato un fiasco, tant’è che la Universal lo ha ritirato dalle sale. Colpa di un pubblico prevenuto, che si aspettava un bel polpettone strappalacrime sul genio della mela mangiucchiata? Sì, probabilmente sì, perché Steve Jobs è un film solido, di impianto teatrale, con grandi prove attoriali, una regia astuta ed una sceneggiatura schiacciante. Non è un flop, è il vero Jobs Act.

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Steve Jobs: la scheda del film

  • Titolo originale: Steve Jobs
  • Nazione: U.S.A.
  • Anno: 2015
  • Durata: 122 minuti
  • Regia: Danny Boyle
  • Soggetto: Steve Jobs di Walter Isaacson
  • Sceneggiatura: Aaron Sorkin
  • Fotografia: Alwin H. Küchler
  • Montaggio: Elliot Graham
  • Musiche: Daniel Pemberton
  • Cast: Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen, Katherine Waterston et al.
  • Genere: biografico, drammatico, tra genio e stronzìa
  • Data d’uscita italiana: 21 gennaio 2016
  • Se ti piace guarda anche: The Social Network (2010), tipo adesso.
  • Sito ufficialetrailer ita:

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Riconoscimenti e nomination:

  • Golden Globes Awards 2016:
    • Migliore attrice non protagonista a Kate Winslet: VINTO
    • Migliore sceneggiatura ad Aaron Sorkin: VINTO
    • Migliore attore in un film drammatico (Michael Fassbender) – nominato
    • Migliore colonna sonora originale (Daniel Pemberton) – nominato
  • BAFTA – British Academy Film Awards 2016:
    • Migliore attore protagonista (Michael Fassbender) – nominato
    • Migliore attrice non protagonista (Kate Winslet) – nominato
    • Migliore sceneggiatura non originale (Aaron Sorkin) – nominato
  • OSCAR – Academy Awards 2016:
    • Migliore attore protagonista (Michael Fassbender) – nominato
    • Migliore attrice non protagonista (Kate Winslet) – nominato

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16 Comments

  1. poison 29/01/2016
    • StepHania Loop 29/01/2016
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  2. Marco Mastroleo 29/01/2016
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  7. Frank R. 02/02/2016
    • StepHania Loop 02/02/2016

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