C’è una telecamera di sorveglianza sul ponte che all’improvviso smette di funzionare. Quando l’immagine viene ripristinata, i tecnici si trovano davanti, apparentemente, il corpo di una donna distesa sul confine. Il confine, attraversato dal ponte che dà il titolo alla serie, è quello tra El Paso, Texas (U.S.A.), e Ciudad Juàrez, Chihuahua (Messico). Sulla scena intervengono la detective Sonya Cross, El Paso P.D., fredda, brusca, ligia, e Marco Ruiz, Polizia Messicana, facilone, indulgente, sbrigativo. Sullo stesso ponte, però, ci sono anche Charlotte Millwright (Annabeth Gish), nell’ambulanza che deve urgentemente portare suo marito in ospedale, e Steven Linder (Thomas M. Wright), un tipo strambo che nasconde una ragazza messicana non molto consenziente nel bagagliaio.
La lotta tra le due giurisdizioni, che in realtà si avvicina di più ad una frenetica voglia di scaricabarile da parte del Messico, viene annientata nel momento in cui, spostandolo, si scopre che il corpo della donna sul ponte non è il corpo di “una” donna: la parte superiore apparteneva ad uno stimato giudice di El Paso, Lorraine Gates, mentre la parte inferiore componeva il corpo di Cristina Fuentes, una delle numerose ragazze scomparse di Juàrez. Due corpi diversi, due differenti giurisdizioni, due aree geografiche accomunate solo dalla vicinanza e due detective che non potrebbero essere più agli antipodi diventano un ottimo pretesto per andare ad analizzare il fastidioso concetto di confine e l’esistenza di vite e di morti di serie a e di serie b: mentre la Polizia Messicana non ha mosso un dito per le decine di ragazze trovate nella “casa della morte”, il Police Department di El Paso si attiva immediatamente alla ricerca dell’assassino del giudice Gates.
Remake di una serie svedese nella quale il ponte congiungeva Svezia e Danimarca, The Bridge inizialmente doveva essere ambientato sul confine tra Stati Uniti e Canada. La produzione ha poi spostato l’occhio di bue sul più comodo Bridge of the Americas, che tra narcotraffico, immigrazione clandestina e cartelli ha offerto sicuramente maggiori spunti.
Ciò che però lascia dubbiosi è il fatto che questa prima stagione di The Bridge sembri comprendere qualcosa come tre stagioni diverse: ad un pilot con l’ansia da prestazione segue una prima parte di stagione, fino al sesto episodio, volta quasi esclusivamente alla presentazione ed alla caratterizzazione dei personaggi, che si fa beffa del ritmo e dell’essere avvincente. La seconda parte, ovvero il “pieno” della stagione, inizia nel settimo episodio e si conclude nell’undicesimo: una storia crime suggestiva ed appassionante, di quelle ispirate ai polizieschi old school, nella quale il killer, la cui identità viene svelata, ha un piano intricatissimo che solo una mente superiore può analizzare. Figata. Se tutta la stagione fosse stata al livello di questi soli cinque episodi, staremmo parlando di uno dei migliori thriller dell’anno… E invece. La terza parte, ormai stanca e praticamente costitituita da due episodi, riguarda un altro caso, collegato al precedente antefatto e conseguente all’accaduto, il cui unico obiettivo sembra quello di porre le basi per la seconda stagione, già confermata dalla FX.
Ad interpretare la detective statunitense Sonya Cross è stata chiamata la texana tedesca Diane Kruger, bellissima anche con uno sputo di trucco, che proprio nella seconda parte della stagione si riscatta dalle critiche ricevute durante la messa in onda dei primi episodi. Nei panni del poliziotto messicano c’è un vero messicano, il conosciutissimo Damian Bichir, mentre ad interpretare il giornalista Daniel Frye, personaggio importante negli agganci della trama, ritroviamo Matthew Lillard (Scream, Thir13en Ghosts). Nel cast ci sono anche Eric Lange e Ted Levine, che, per quanto possano darsi da fare, ricorderemo sempre per un simbolo sulla tuta e una data lozione da mettere in un determinato cesto:
Perché alla fin fine fa così tanto incazzare ‘sto Ponticello? Per via di tutte le lungaggini della prima parte, che, senza la giusta determinazione personale, istigano all’abbandono lo spettatore. Perché il personaggio di Sonya Cross, detective di El Paso P.D. con la sindrome di Asperger e quindi incapace di capire e dimostrare empatia, non può competere con il disturbo bipolare di Carrie Mathison (Homeland) o con quella bomba di compassione ossessiva di Sarah Linden (The Killing). Perché a volte la differenziazione tra U.S.A. e Messico sembra rasentare la commedia italiana tipica con il milanese ed il romano, anche a causa di quella vasectomia accennata all’inizio e di quella moglie messicana un po’ troppo… stereotipata.
Eppure quella seconda parte di The Bridge collega tutti i puntini e lo fa in maniera magistrale, razionale e crudele. Alla fine della serie tutto (tranne il tunnel) torna. Se il risultato finale è valido, gli si possono perdonare le lungaggini, le digressioni, le banalizzazioni? Possono cinque episodi salvare una stagione di tredici puntate?
Come si diceva, la seconda serie è stata già confermata e per di più la messa in onda italiana su Fox Crime ha un’accettabile differita su quella statunitense. Inoltre si vocifera di un altro possibile remake, probabilmente intitolato The Tunnel e ambientato nel Tunnel della Manica. Eh sì, vogliamo proprio vedere, tra gli inglesi e i francesi, i terroni chi li fa.
The Bridge – Season 1 (U.S.A. 2013)
Ideato da: Elwood Reid, Meredith Stiehm
Basato su: Bron (Svezia)
Sceneggiatura di: Elwood Reid, Björn Stein, Meredith Stiehm
Regia di: Gwyneth Horder-Payton, Alex Zakrzewski, Norberto Barba
Cast: Diane Kruger, Demián Bichir, Ted Levine, Matthew Lillard, Eric Lange
Genere: thriller, crime, cravatta colombiana
Programmazione in U.S.A.: dal 10/07/2013 al 2/10/2013 su FX
Programmazione in Italia: dal 18/07/2013 su Fox Crime
Se (proprio) ti piace guarda anche:
The Killing (2011/13), The Following (2013), Low Winter Sun (2013).
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