Un Post Per Un Poster
Mazinga (Marco Giallini), Cobra (Pierfrancesco Favino) e Negro (Filippo Nigro) sono tre “celerini” di un Reparto Mobile romano, uniti da quella antica forma di fratellanza che accomuna chi combatte fianco fianco. Spina (Domenico Diele) è l’ultimo arrivato, entrato nelle “guardie” apparentemente per motivazioni più economiche che idealiste. Mentre la rabbia dei tre deriva da stratificazioni di soprusi ed errori, quella del nuovo arrivato è più potente, più genuina, più pericolosa. Con uno sfondo vividamente disegnato dal ricordo dei tragici eventi del G8, dalla campagna elettorale di Alemanno, dalla morte del Raciti e dal proiettile di Spaccarotella, vittime e carnefici si fondono assieme a disegnare una fotografia amara e
disturbante dell’umiliazione e della frustrazione di ognuno dei
protagonisti, ripudiati dalle famiglie, dai cittadini e dalla politica. Padri inadeguati, mariti rifiutati, figli impotenti proiettano nel loro
già duro lavoro la violenza privata dell’essere soli ed inaccetati.
Personaggi che trovano la loro unica famiglia nel reparto, nei colleghi, nei
“fratelli“, che cercano in ogni modo di difendere, pur cadendo
nella più becera menzogna. Ed è proprio all’ingiustizia che Spina, l’agente più giovane, in grado di accettare la violenza fine a se stessa, si ribella, come se violenza e ingiustizia non fossero sinonimi.
disturbante dell’umiliazione e della frustrazione di ognuno dei
protagonisti, ripudiati dalle famiglie, dai cittadini e dalla politica. Padri inadeguati, mariti rifiutati, figli impotenti proiettano nel loro
già duro lavoro la violenza privata dell’essere soli ed inaccetati.
Personaggi che trovano la loro unica famiglia nel reparto, nei colleghi, nei
“fratelli“, che cercano in ogni modo di difendere, pur cadendo
nella più becera menzogna. Ed è proprio all’ingiustizia che Spina, l’agente più giovane, in grado di accettare la violenza fine a se stessa, si ribella, come se violenza e ingiustizia non fossero sinonimi.
Una regia dal respiro internazionale, con carelli e camera a mano a farla da padroni, gioca sul genere e sui generi, rappresentando gli assalti dei tifosi come uno zombie movie e le scene di guerriglia urbana come un film post-apocalittico, facendo percepire allo spettatore in egual misura la paura dei personaggi di essere colpiti e la paura di colpire. Sollima disegna una nazione che ha sostituito il popolo con la collera, le istituzioni con l’autorità, i diritti con i favori; disegna “uno stato che ha perso la dignità di se stesso“. Lodevoli le interpretazioni e sublimi le scelte e gli inserimenti musicali: Seven Nation Army dei White Stripes in apertura, seguito poco dopo da Police On My Back dei The Clash, per poi arrivare, nell’epilogo, alla immensa Where Is My Mind? dei Pixies (impossibile non associarla a Fight Club), in quel momento, in quell’esplosione di vendicativa violenza che si rivela poi la più amara delle delusioni, il più profondo dei tradimenti. Una pellicola talmente particolare da non sembrare nostrana.
Unica, vera e indimenticabile pecca è il poster inneggiante al saluto romano a casa di uno dei protagonisti sul quale la mdp si sofferma più volte: l’associazione polizia-fascismo getta discredito sul verismo della storia e infanga ciò che avrebbe potuto davvero brillare. Un’imperdonabile caduta di stile.
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