Midsommar – Il Villaggio dei Dannati è un film folk horror del 2019 scritto e diretto da Ari Aster con protagonista Florence Pugh.
Midsommar è un film incredibilmente divertente. Sì, lo so, tecnicamente è il nuovo horror di Ari Aster, che ha scritto e diretto Hereditary e sì, lo so, è pieno così di immagini gore; ma è un film divertente e visivamente meraviglioso, in grado di trasformare un melodramma sentimentale in una grottesca fiaba dell’orrore. Al centro di questo orrore c’è una relazione che avrebbe dovuto avere fine tempo addietro, ma che si trascina, invece, in maniera malsana e vigliacca. Invischiati in tale relazione troviamo Dani e Christian, che sebbene non siano persone cattive, lo diventano l’una per l’altro. Oh, se lo diventano.
E noi spettatori ci divertiamo – oh, se ci divertiamo – davanti ad un film completamente inaspettato. Ci eravamo predisposti ad un film cupo e invece ci ritroviamo una pellicola che brilla sotto il sole di mezzanotte; ci aspettavamo tutta la pesantezza di Hereditary e invece ci guardiamo di sottecchi di fronte al trash di alcune trovate; per due ore ci prepariamo ad un climax di orrore e violenza pronti a perdere il controllo degli sfinteri… e invece alla fine sorridiamo.
Midsommar, la trama del film
Dani (Florence Pugh, deliziosa) si sta aggrappando a una relazione morente quando la tragedia la colpisce, come un palo in pieno volto: la sorella bipolare si suicida dopo aver ucciso i genitori.
Dlin dlon, si avvisa la gentile clientela che il disturbo bipolare è una malattia hereditarya.
Christian (Jack Reynor), il suo ragazzo-coglionazzo, avrebbe voluto troncare la relazione da tempo, ma non ne ha avuto il coraggio. Per prendere le distanze da lei, Chris pianifica con gli amiconi-minchioni un viaggio estivo in Svezia, terra di uno di loro (Pelle, Vilhelm Blomgren). Il viaggio viene organizzato all’insaputa di Dani, che ne viene a conoscenza solo due settimane prima ed in modo del tutto casuale. Messo alle strette da una Dani succuba e nel giusto, Chris è troppo codardo per non invitare anche lei, sperando in un educato e riconoscente diniego.
E invece no, Dani decide di unirsi al gruppo e parte per la Scandinavia assieme a Christian, lo svedese Pelle, il laureando in antropologia Josh (William Jackson Harper) e quello che in The Cabin in the Woods sarebbe stato il buffone, Mark (Will Poulter).
Non a caso tiro in ballo Quella Casa nel Bosco, film definitivo sui cliché di genere. A questo punto tu – come ho fatto io – penserai di sapere dove Midsommar sta andando a parare. Ti vedo, col sorriso sornione da “cinque amici in viaggio in un paese sconosciuto… sì, certo”. Ti immagino mentre, come me, trascorri oltre due ore ad aspettare un exploit di orrore e violenza. E invece no, di nuovo. Sei sulla strada sbagliata. Vieni con me, dobbiamo andare nell’Hälsingland.
Midsommar: la festa di mezza estate
Il midsommar esiste davvero e si celebra nel sabato tra il 18 ed il 26 giugno. In occasione di questa festa gli svedesi abbandonano le città in favore della natura, spostandosi in campagna o su un’isola dell’arcipelago.
Qui gli uomini erigono il midsommarstång, il palo ricoperto di fiori che viene raffigurato in una delle locandine del film. Attorno al palo, simbolo di fertilità (maddai?!), si balla, si beve e si mangiano i cibi tipici preparati dalle donne.
Sembrerebbe tutto molto hippy e innocuo, se non fosse per il burro che – sono certa – gli svedesi infilano in qualsiasi cosa.
La comunità di Harga
Il midsommar a cui giungono Dani, Chris, Josh e Mark, assieme al nativo Pelle, è però piuttosto particolare e non solo perché dura 9 giorni e si tiene ogni 90 anni, ma anche perché è organizzato da una vera e propria comune.
Nel villaggio di Hårga uomini e donne condividono ogni cosa, lontani da qualunque forma di modernità e vestiti con graziose tuniche bianche adornate da ricami e fiori. Vivono assieme in strutture di legno dalle pareti decorate da immagini in stile medioevale che sembrano raffigurare, tra i fiori, solo sesso, sangue e morte.
Dlin dlon, si avvisa la gentile clientela che i disegnetti in Midsommar anticipano la trama proprio come le miniature in Hereditary.
C’è una struttura poi, una sorta di piramide gialla in legno, nella quale a nessuno è concesso entrare.
Il villaggio ha rituali, simboli e cultura propri, a cominciare da una concezione della vita suddivisa in stagioni: la primavera, sino ai 18 anni; l’estate, dai 19 ai 36, durante la quale i giovani come Pelle viaggiano e scoprono il mondo; l’autunno (37-54), durante il quale rientrano e si occupano degli altri; ed infine l’inverno, dai 55 ai 72 anni, in cui diventano guide della comunità.
E dopo i 72 anni? Beh, ce lo fa vedere Pelle, ma lì per lì non gli crediamo.
L’oscurità del sole di mezzanotte
Nella maggior parte dei casi l’orrore è associato al buio ed all’oscurità. Se escludiamo gli horror “acquatici”, non sono stati tantissimi i film in grado di spaventare alla luce del giorno. Mi tornano alla mente qualcosa di Romero e Craven, per certo 28 Giorni Dopo di Boyle e film che non vorrei citare, come – accidenti! – il filone di James Wan e Cannibal Holocaust di Deodato.
In questi film però le sequenze diurne si amalgamano in maniera naturale nel contesto in cui sono inserite. In Midsommar non vi sono né scelta né naturalezza: il sole illumina il villaggio giorno e notte, dando sia a noi che ai malcapitati protagonisti un senso di totale straniamento. Tra l’altro il sole, questo sole che illumina ogni cosa, non viene mai inquadrato direttamente. D’altro canto le poche sequenze buie, girate in interni, sono quelle nelle quali si consumano gli atti più atroci ed efferati.
Midsommar, il finale del film
Sono tante le domande che rimangono sospese dopo i titoli di coda. Perché quell’enorme martello? Perché il costume da orso? E la nonnina che mette mano alle chiappe di Christian?
Purtroppo non posso dare una risposta a questi interrogativi, ma posso provare a riassumere il finale di Midsommar ed usarlo per andare a cercare i significati che ancora ci mancano. Ovviamente, se non hai visto il film, ti conviene tornare in città a gambe levate, perché da qui in poi…
Ad Hårga sembrano ormai rimasti solo Dani e Christian: i londinesi Simon e Connie sono andati via dopo il suicidio degli anziani dalla rupe (si chiama “ättestupa” ed ha fondamenti storici), mentre Josh e quel piscione di Mark sono dati per dispersi.
La deliziosa Dani, unica rimasta in piedi nella competizione attorno al midsommarstång, viene incoronata “regina di maggio”. Tutta la comunità si stringe attorno a lei per onorarla e venerarla, riempiendola di fiori sulla corona e sul trono. Beh, non proprio “tutta la comunità”: Christian, il ragazzo-coglionazzo, è intento ad interpretare l’uomo che avevamo visto nelle storie sulle pareti.
Christian infatti, dopo aver bevuto sangue mestruale e mangiato peli pubici, è il partner destinato all’accoppiamento con Maja (Isabelle Grill). Non è chiaro se Christian acconsenta per paura, per interesse antropologico o semplicemente “perché gli va” (cit.), ma sembra non battere ciglio di fronte al suo destino da stallone da monta. Beh, almeno sino a che non si ritrova a dover compiere l’atto con attorno una cerchia di donne nude che assecondano, con respirazione e gemiti, le sensazioni di Maja.
Dani, attirata dalle voci, vede la scena dallo spioncino della porta e corre via, devastata. Questa volta – e per la prima volta – Dani non è da sola: le sue “ancelle” la seguono per piangere ed urlare con lei in quella che è la scena simbolo del film. Dani, che sino a questo momento non aveva ricevuto né conforto né empatia, si ritrova circondata da donne che sono lì per lei, che condividono il dolore assieme a lei.
Finito l’amplesso, Christian scappa via e si imbatte nel corpo smembrato di Simon, apparentemente ancora in vita. Qualcuno nel villaggio gli ha aperto la schiena, ha tirato via le costole e fuori i polmoni secondo un metodo di tortura che nelle saghe norrene viene chiamato “aquila di sangue”. Christian non ha però il tempo di reagire, perché viene stordito dal soffio di una polverina che gli impedisce di muoversi e parlare.
È solo alla fine che scopriamo la funzione della piramide di legno gialla nella quale nessuno poteva accedere: è un tempio sacrificale, allestito a festa per il rituale che sta per compiersi. Nove vite devono essere sacrificate per accoglierne una nuova, presumibilmente quella presto introdotta da Maja. E i nove fortunati si rivelano essere i due anziani già suicidi, i due londinesi (Simon e Connie), gli americani Josh e Mark (entrambi colpevoli di non aver rispettato la cultura locale), due volontari ed un nono, scelto dalla meravigliosa regina di maggio.
Dani si ritrova così a dover scegliere l’ultimo morituro tra il nome di uno sconosciuto estratto meccanicamente a sorte da un’urna (lo vedi che è divertente?!) e Christian, il suo Christian, il ragazzo-coglionazzo che l’ha sempre fatta sentire un peso, che ha dimenticato il suo compleanno e che l’ha appena tradita.
Morte al coglionazzo.
Christian, completamente intontito, viene infilato nel corpo dell’orso che avevamo visto sia vivo in gabbia che raffigurato nel quadro nell’appartamento di Dani. Il Christian-orso viene posizionato al centro della piramide, mentre attorno vengono disposti gli altri fortunati, tra i quali riconosciamo il volto di Mark (usato prima da Ulf per terrorizzare Josh) posto su di un manichino di paglia col cappello da giullare. Eh sì, non scherzavo sul buffone di That Cabin in the Woods.
L’intera struttura viene data alle fiamme. Gli Hårgans osservano la scena, partecipando con le solite urla alla sofferenza di chi, ancora vivo, sta bruciando lì dentro. Dani, completamente ricoperta di fiori, sembra per un attimo tornare in sé e condividere la disperazione che ha attorno, prima di lasciarsi scappare un sorriso soddisfatto. Midsommar si chiude con il primo piano del suo viso.
Midsommar, i possibili significati
A questo punto avrai capito che, se il cinema fosse una guerra e fosse necessario schierarsi, io parteggerei a favore di Midsommar. Non è così per buona parte della critica e del pubblico, che non ha gradito l’ambiguità di questo lavoro.
Ci sta. Lo capisco, anche se non lo condivido, proprio come con l’ättestupa. Se dovessi puntare il dito, però, non lo farei sugli aspetti parodistici e caricaturali (secondo me chiaramente voluti), ma sull’assenza di un significato preciso dietro questo incubo di una notte di mezza estate. Ognuno di noi può vederci ciò che vuole, ad esempio:
La fine di una relazione
Ari Aster ha raccontato di aver scritto Midsommar poco dopo una rottura amorosa. Lui stesso ha paragonato l’incendio finale al momento in cui un po’ tutti nella vita ci siamo disfatti della scatola con i ricordi dell’ex. Deve essere il tipo che non porta rancore il nostro Ari, eh?!
Questa è per certo l’allegoria più netta ed evidente, ma potrebbe non essere la sola. Io trovo un po’ riduttivo racchiudere tutto ‘sto baraccone nella casellina “love story finita male”; piuttosto vedrei l’incendio come la liberazione di Dani in senso più lato: con la morte di Christian la nostra protagonista perde davvero tutto e, come diceva il mio amico Tyler, “è solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa”.
Il sessismo alla rovescia
Sin dai primi minuti, Dani si presenta come una ragazza fragile, infagottata, in continua lotta con gli attacchi di panico. Cerca inutilmente supporto in Christian ed arriva a preoccuparsi – lo scopriamo dalla telefonata con un’amica – di appesantire il povero studente, che nel frattempo è al bar con gli amici a parlare di come ingravidare le cameriere.
E a proposito di amici, nemmeno loro scherzano in quanto a sensibilità: Mark si dimostra insofferente alla tragedia subita da Dani, mentre Josh è un arrivista pronto a tutto per la sua tesi. Non dimostrano correttezza nemmeno l’un l’altro, dato che Pelle non fa nulla per nascondere le sue attenzioni per la ragazza dell’amico e lo stesso Chris non si fa scrupolo di “rubare” l’argomento della tesi al compagno di corso.
A dirla tutta, gli uomini non fanno un figurone nemmeno ad Hårga, dove non riescono a sfracellarsi per bene gettandosi da una rupe o sono considerati animali da riproduzione, proprio come Christian nella parte finale. Quella di Midsommar sembrerebbe quasi una società nella quale le donne dispongono degli uomini per i loro fini, giusti o sbagliati che siano.
Tuttavia nel finale non c’è catarsi: quella che doveva sembrare giustizia diventa caricatura, espressione ultima di quell’aspetto parodistico che serpeggia per tutto il film. Che sia una sorta di attacco al femminismo o – come credo – una dimostrazione che il sessismo è sempre e comunque un errore, anche di fronte ad esemplari del genere?
La metafora politica
È stato proprio Aster a lanciare questo sassolino e ad indicare il personaggio di Ruben come suo messaggero.
Ruben è il giovane dal volto deforme definito dagli Hårgans come “l’oracolo”; l’unico degno di metter mano alle loro sacre scritture grazie ad una capacità di giudizio non offuscata ed al suo sangue non contaminato. Nel film ci viene infatti spiegato che per garantire la continuità degli oracoli (e quindi delle scritture) vengono promosse le unioni tra consanguinei, perché solo il frutto di tali unioni ha il sangue sufficientemente puro per esprimere la parola degli dèi.
Dlin dlon, si avvisa la gentile clientela che l’ultradestra xenofoba è in forte ascesa in Svezia.
Non può poi certo essere un caso il fatto che i protagonisti di questo incubo siano americani (gli attori non lo sono) e che siano studenti di psicologia (Dani) o antropologia (Chris e Josh). Di fronte al suicidio dei 72enni solo Dani sembra dare di matto; allo stesso modo solo Dani è preoccupata quando l’inglese Simon fa la sua “brexit” lasciando indietro Connie. Mentre spariscono uno ad uno, Josh, Mark e sopratutto Christian fanno spallucce, incastrati in un individualismo cieco che si contrappone all’emozione collettiva degli Hårgans.
Dalla campagna svedese, per questa (mezza) estate, è tutto. Cosa ne pensi? Sei anche tu tra gli estimatori di questa nuova fatica di Ari Aster? Se ti va, fammelo sapere nei commenti e ricorda che puoi votare Midsommar commentando o semplicemente inserendo da 1 a 5 stellette alla voce “voto dei lettori” nella review qui sotto.
Link utili su Midsommar, il film:
Se Midsommar ti è piaciuto, potresti voler approfondire con:
- le pagine di Wikipedia in inglese sul geronticidio denominato “ättestupa” (qui) e sul metodo di tortura chiamato “aquila di sangue” (qui).
- i post degli altri blog che hanno recensito il film, come Il Buio in Sala e Il Bollalmanacco di Cinema.
Midsommar - Il Villaggio dei Dannati, la recensione del film
Movie title: Midsommar
Movie description: La seconda regia di Ari Aster (quello di Hereditary, quello del palo) è il film che non ti aspetti: trash e gore nascondono un significato ambiguo, sfuggente ed insperatamente divertente.
Date published: 25/07/2019
Director(s): Ari Aster
Actor(s): Florence Pugh, Jack Reynor, Will Poulter
Genre: folk horror
Durata: 147 min
Paese: Stati Uniti, Svezia
- sceneggiatura
- originalità
- regia
- fotografia
- recitazione
- cuore
riassunto
Midsommar, secondo film di Ari Aster, arriva in sala con un carico enorme di aspettative, che in parte disattende. Ci si aspettava un film cupo e ci si ritrova un film che brilla sotto il sole di mezzanotte; ci si aspettava, magari raddoppiata, tutta la pesantezza di Hereditary e ci si ritrova a guardarsi si sottecchi di fronte al trash di alcune trovate; ci si aspettava un exploit finale da far perdere il controllo degli sfinteri e invece alla fine si sorride assieme alla protagonista (ma per altri motivi).
Una delusione? No, tutt’altro. Midsommar è il film che non ti aspetti: trash e gore nascondono un significato ambiguo, sfuggente ed insperatamente divertente.
Pros
- una regia che aspetta-fermi-tutti-come-ha-fatto-questa-cosa-attorno-alla-macchina, con scenografia e fotografia che la seguono a ruota (la macchina);
- un divertimento inaspettato, dato dai tanti aspetti grotteschi e caricaturali che serpeggiano qui e lì;
- Florence Pugh è deliziosa.
Cons
- per più di due ore si aspetta un exploit che poi di fatto non c’è;
- un significato ambiguo e sfuggente.
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Mah, io sono una di quelli che non riesce a parteggiare per il film. Nel senso, l’ho trovato splendido e anche abbastanza lapalissiano nei significati, per nulla ambigui, tuttavia avrei gradito (una volta, davvero, esaurito l’effetto sorpresa, ché il destino di Christian era intuibile praticamente al momento esatto in cui erano rimasti solo lui e la Regina di Maggio) un bel po’ di minutaggio in meno legato ai riti e alle tradizioni del popolo. Tra l’altro, il parallelo tra le urla delle donne con la protagonista (lì mi sono un po’ commossa, poverella) e le urla delle donne con Christian è impietoso: l’amplesso più terrificante della storia del cinema XDXD
Uh, sì, per terrificante è terrificante. 😀 Ti dirò, io ho sorriso anche nella scena che ti ha commossa, perché sì, c’è la condivisione del dolore di Dani, ma anche un minimo di… coglionella: le signorine piangenti sapevano esattamente cosa sarebbe successo ed hanno contribuito a farlo succedere. È chiaro che Dani non piange solo per quella-cosa-lì, ma ci vedo comunque una certa ambiguità di fondo.
Circa il minutaggio non posso darti torto. Pensa che in sala è arrivato già “accorciato”: la director’s cut del Blu-ray ci delizierà con 30 minuti in più degli 80 che avevano già tagliato. 😆
Pelle ha mentito agli amici. Li ha sacrificati alla tribù. Il suicidio dei vecchi e la violenza postuma su di essi, troppo crudele. Persone così sono pazze. Una comunità dei dannati. Comunque capisco, non mi meraviglio di nulla. Conosco il mondo.
Vorrei solo aggiungere un commento da studiosa di antropologia, è un film eccellente, solo per fare un banale esempio; dietro le urla partecipi delle ancelle e alle lamentazioni finali dell’ultima scena del film, si cela un rito di origine latina che prevede il pianto forzato da parte di alcune donne durante le celebrazioni funerarie, il dolore collettivo non è davvero provato è socialmente richiesto, questo spiega il sorriso finale della protagonista a mio parere. Ci sarebbero tantissime altre allusioni simili che provengono da saghe norrene, celtiche e latine . Sono stata sinceramente colpita dalla ricchezza di significati ben ricostruiti in questo film!
Il motivo principale per cui non ho condiviso l’entusiasmo per questo film è che pochi mesi prima avevo recuperato “The Wicker Man”, film degli anni ’70 con dinamiche molto simili, ma che dava molte più soddisfazioni nel crescendo finale. E sfruttava bene i suoi 90 minuti circa.
Midsommar è eccessivamente lungo. Tecnicamente bellissimo eh, però meh. Poi che i personaggi si comportino da americanoidi idioti in uno slasher lo accetto, qua invece sono tutti seri e “studiati” ma non ce n’è uno che si faccia domande. A parte Dani sono gusci vuoti.
p.s. Leggendo il commento ho pensato che Isabelle Grill è uno spoiler vivente sul destino del caro Christian. Quando si dice un nome, un destino 🙂
La cosa triste di questo film come del resto anche Hereditary è che appare molto evidente la ricerca esasperata della regista per cercare di escogitare immagini disturbanti ma non ne è in grado. L’unica cosa a disturbare è la lunghezza ingiustificata del film.
Per poter disturbare, emozionare o spaventare quello che vediamo deve essere credibile e qui non c’è niente che ci convince.
Triste il giudizio dei critici che l’hanno osannato sicuramente per convincere qualcuno ad andarlo a vedere.
Comunque questa regista con i produttori deve essere stata veramente convincente per riuscire a fargli tirar fuori i soldi per questo film!
Ciao, a me il film è piaciuto molto, mi sarebbe piaciuto capire meglio il destino di alcuni personaggi come Connie, Mark (chiamato in disparte da quella ragazza ) . Una domanda:” perchè durante i pasti nessuno mangia?”