47 Metri, il film: io e te 3 metri (per 15,6 periodico) sotto l’acqua

47 Metri (aka 47 Meters Down o In The Deep) è un film horror del 2017 diretto da Johannes Roberts e scritto da Roberts ed Ernest Riera; con Mandy Moore, Claire Holt, Matthew Modine, Santiago Segura, Yani Gellman e Chris J. Johnson.

47 Metri, la recensione del film: lo shark movie con Mandy Moore e Claire Holt è un thriller imperfetto e per certi versi scontato, che tocca il fondo (…) ma raggiunge vette di tensione altissime

L’estate è alle porte, con il suo gravoso carico di gradi e zanzare. Ma la stagione del sole e del mare porta con sé una piccola grande gioia: l’horror, ancor meglio se ambientato in acqua. Squali, piranha, coccodrilli, mostri coreani. Nuoto sincronizzato.

Dando un’occhiata alle programmazioni degli ultimi anni, noterai che non v’è stata estate senza il suo shark movie. Lo scorso anno ci siamo divertiti con Paradise Beach, il 2015 è stato l’anno di Zombie Shark (ancora inedito da noi) e potremmo andare a ritroso passando per The Reef ed Open Water forse (dico forse) fino allo shark movie degli shark movie. Sì, dai, lo sai che sto parlando de Lo Squalo (Jaws) di Steven Spielberg.

Se invece dai una sbirciatina alla programmazione estiva, noterai che questo 2017 si preannuncia carente di horror e soprattutto di squali. È forse per questo che la Adler Entertainment ha deciso di distribuire in sala 47 Metri (47 Meters Down), nonostante nel 2016 lo stesso film avesse avuto una seppur limitata distribuzione in home video. E ci sta: quando si tratta di squali, il rispetto delle tradizioni è importante; ma lo è ancor di più la possibilità di dare la giusta visibilità ad un film che la merita, come 47 Metri. Perché – togliamoci il dente – Johannes Roberts dirige un thriller assolutamente imperfetto e per certi versi scontato, che tocca il fondo (ahah) ma raggiunge vette di tensione altissime.

47 Metri, il poster del film horror (2017)

La trama di 47 Metri

Due sorelle molto diverse tra loro si ritrovano a fare assieme una vacanza in Messico. Lisa (Mandy Moore, This Is Us) è una pappamolla noiosa che è appena stata scaricata; Kate (Claire Holt), più giovane, è un’irresponsabile attratta dal brivido delle nuove esperienze. Durante la classica festicciola messicana, le due incontrano due baldi giovani del luogo che raccontano loro della possibilità, per 100 verdoni a cranio, di osservare gli squali in mare aperto in tutta sicurezza (!) all’interno di una gabbia. Kate ne fa subito il suo nuovo motivo di vita e Lisa, dopo una breve titubanza, cede. I quattro si danno appuntamento per il giorno successivo.

Il giorno dopo Lisa e Kate fanno la conoscenza del Capitano Taylor (Matthew Modine) e della sua ciurma (il marinaio Javier, Chris J. Johnson) ed assieme a loro ed ai due autoctoni si avventurano in un’escursione non proprio ufficiale. A due ore dalla costa di Huatulco, le sorelle vengono edotte sulla compensazione prima di essere immerse, nella gabbia, a cinque metri di profondità.

Questo film però si chiama 47 Metri, è ovvio che qualcosa andrà storto. A tradirle sarà il verricello. Wikipedia, pensaci tu…

Verricello
/ver·ri·cèl·lo/

Macchina semplice per il sollevamento di oggetti pesanti, sorta di argano ad asse orizzontale costituito essenzialmente da un tamburo rotante azionato a mano o a motore.

Il meccanismo scricchiolante che assicurava la gabbia arrugginita alla barca abusiva si rompe (toh, i casi strani della vita!), e la gabbia inizia una caduta libera sino al fondale, alla profondità (ovviamente) di 47 metri. Lisa e Kate si ritrovano quindi intrappolate nell’abisso, oscuro e inospitale, con appena 60 minuti di ossigeno ed un parterre di squali golosi da 8 metri l’uno.
47 Metri: Mandy Moore e Claire Holt in alcune scene del film

Il grande squalo bianco: tra cinema e realtà

Lo squalo bianco, ultimo sopravvissuto del genere Carcarodonte, è un feroce predatore, sicuramente il più grande pesce predatore del pianeta. Come ci ha insegnato Steven Spielberg, lo squalo ha più file di denti e può arrivare ai 7 metri di lunghezza. Quello che il film del 1975 ed i suoi sequel non ci hanno insegnato, però, è che lo squalo bianco raramente attacca l’uomo; lo fa solo se lo scambia per una foca o se quell’uomo in particolare gli sta sul culo. Questo dettaglio ovviamente nulla toglie alla grandezza della sceneggiatura di Peter Benchley per Lo Squalo o a quella del suo primo sequel del 1978; né sottrae qualcosa alla scellerata demenzialità dei vari Sharknado o all’intrattenimento dei film a tema, come quello fornitoci lo scorso anno da Paradise Beach con il bikini di Blake Lively ed il gabbiano con le smanie di protagonismo.

In 47 Metri però siamo in un altro contesto. In questo caso gli squali non si avvicinano alla riva solo per puntare i bagnanti. In 47 Metri siamo in alto mare, siamo nell’habitat naturale degli squali, li siamo andati a cercare e… a “sfottere”. Il contesto mostrato, ovvero la gabbia metallica immersa, è una pratica realmente esistente e non solo in Messico, dove è ambientata questa pellicola, ma anche in Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda. Durante le escursioni, per attirare gli squali verso la gabbia e poterli quindi osservare da vicino si effettua la pasturazione, si buttano in acqua, cioè, sangue, frattaglie e materiali organici. Questa pratica ovviamente non è ben vista da tutti, perché c’è il rischio che a lungo andare gli squali associno l’uomo alle frattaglie. Capisciammé.

Come si arriva a 47 metri

È possibile che tu abbia già visto 47 Metri un anno fa, in streaming o home video, quando si chiamava In The Deep.

Già, perché il titolo originale del film con gli squali e Mandy Moore era proprio In The Deep (“nel profondo”) e così difatti è stato distribuito lo scorso anno. Ma In The Deep era anche il titolo provvisorio di The Shallows, il film con lo squalo e Blake Lively, da noi arrivato in sala un anno fa come Paradise Beach – Dentro l’Incubo.

All’epoca i produttori dell’In The Deep con Mandy Moore decisero quindi di rinominare il film in 47 Meters Down. Contemporaneamente però anche i produttori dell’In The Deep con Blake Lively passarono al titolo The Shallows. Per un attimo, quindi, non c’è stato alcun film in uscita intitolato In The Deep. Ed io che pensavo che queste cose succedessero solo a casa mia.

I produttori del film che ci occupa oggi si riappropriarono quindi del titolo In The Deep per l’uscita in home video. Com’è che per l’uscita in sala (un anno dopo) si è tornati a 47 Meters Down, ovvero 47 Metri? Semplice, per depistare me che dopo una settimana pesante entro in sala il venerdì sera totalmente disinformata.

47 Metri, In The Deep, 47 Meters Down: stesso film, diverse distribuzioni (e locandine)

Io e te 3 metri (per 15,6 periodico) sotto l’acqua

Pensa. Pensa solo per un istante di essere intrappolato a 47 metri di profondità, in un fondale discontinuo, con una visibilità ridottissima e senza punti di riferimento. Per me, che ho paura anche dei tuffi a cufaniello, sarebbe bastato questo presupposto a generare tensione. Cosa si prova lì sotto? Claustrofobia? Agorafobia? Entrambe? Aggiungici, però, un gruppetto di squali bianchi che passeggiano allegramente sopra la tua testa. Se resti nella gabbia sei al sicuro, ma non puoi cercare aiuto.

È come andare allo zoo, ma nella gabbia ci sei tu.

Per poter comunicare con la barca, per poter dire a qualcuno che sei ancora vivo e che magari è il caso che ti salvino, devi arrivare ai 40 metri di profondità. Per arrivare ai 40 metri devi uscire dalla gabbia. Fuori dalla gabbia ci sono gli squali. Basta così?

Macché. Mettiamoci anche che l’ossigeno nelle bombole è destinato a terminare grossomodo entro 60 minuti, che però diventano sempre meno se non stai calmo e fermo. Cosa ti allarma di più del forzarti a stare calmo e fermo? Niente, niente al mondo.

Allora facciamo così: questi 47 metri ce li facciamo tutti d’un fiato, fino alla superficie, fino alla salvezza, come va, va. Se siamo sufficientemente veloci, magari gli squali non ci acchiappano. Beh, magari gli squali no, ma gli emboli sì: dobbiamo risalire lentamente o fermarci a fare una pausa di cinque minuti. Tieni anche in considerazione il fatto che più tempo restiamo qui sotto, più tempo ci servirà per risalire. Quindi che facciamo? Restiamo nella gabbia a soffocare o ci offriamo in pasto ai pescioloni?

In fondo al mar

Scusami se ti ho trascinato in questa situazione, ma era qui che volevo arrivare: 47 Metri è sì uno shark movie, ma è soprattutto un survival movie. Il film scritto da Johannes Roberts ed Ernest Riera fonde assieme i due generi in maniera molto armonica e porta ad un mix di tensione e angoscia per certi versi davvero difficile da gestire.

Anche la regia dello stesso Johannes Roberts non ha punti a sfavore: fluida come una creatura marina, distoglie lo sguardo come faremmo io e te difronte a certe immagini. Roberts dirige due attrici non propriamente talentuose, per di più con l’handicap di aver il viso coperto con la maschera granfacciale per qualcosa come 70 minuti su 89, eppure questo – sott’acqua – non sembra aver alcun peso. Anzi, i costumi usati e la differente fisicità di Mandy Moore e Claire Holt fanno sì che nonostante il contesto non vi sia mai confusione tra i personaggi. Gli squali si vedono meno di quanto ci si aspetterebbe, ma quando si vedono, CGI o meno, fanno il loro figurone.

47 Metri: un film che fa acqua da tutte alcune parti

47 Metri ti intrappola sul fondo della poltrona e si impadronisce del tuo respiro. Se non stessi per accennarti ai suoi gravi problemi, probabilmente ti direi che è uno degli horror dell’anno. Ovviamente così non è, principalmente a causa dei personaggi, dei dialoghi e del finale…

I personaggi: Lisa e Kate

Cosa non funziona, in 47 Metri? Beh, innanzitutto i personaggi. Abbiamo due figure femminili inconsistenti, melliflue, inutili. Lisa, la sorella maggiore, è appena stata scaricata da Stuart. Invece di andarsene in giro in macchina a cantare You Oughta Know, decide di accompagnare la sorella minore, Kate, in un viaggio in Messico. Per passare oltre? Per riacquistare il rapporto con la sorella? Per dimenticare l’ex e rifarsi una vita da donna libera? Macché. Lisa va in Messico con Kate solo per potersi fare tanti selfie da mandare a Stuart. Già.

Forse neanche pesa il fatto che si tratti di Lisa e non di “Liso”, perché difronte alla stupidità non c’è sessismo che tenga. Un personaggio così idiota e superficiale in un film horror non crea immedesimazione. E Kate, che dire di Kate? Beh, non c’è molto da dire. Di lei sapremo ancor meno. Però le piace andare in Messico con i capitani abusivi e le gabbie arrugginite coi verricelli fracici. Sì, al confronto Lisa è un personaggione.

I dialoghi e la telecronaca

In barba ad una trama così complessa e articolata, i dialoghi di 47 Metri si perdono in un bicchier d’acqua (ahah). Ogni azione delle due protagoniste, forse per paura di incomprensioni dello spettatore, viene immancabilmente sottolineata nel parlato. “Mi sento agitata”. “Credo di avercela fatta”. “La gabbia si romperà”. “Non mi lasciare, morirò asfissiata”. “Passare a un’altra bombola aumenterà drasticamente le possibilità di narcosi da azoto”. “Credevo che fossi morta”. Ogni complemento, che sia di stato in luogo o di moto a luogo, viene sottolineato dai dialoghi in maniera così continua e pedissequa da stancare e – cosa ancor più grave – da rendere banalissimo un finale che avrebbe potuto stupire.

47 Metri: Mandy Moore e Claire Holt sono le sorelle Lisa e Kate, bloccate in una gabbia per l'osservazione degli squali a 47 metri di profondità

La calunnia è un verricello.

Il finale di 47 Metri

Il film di Roberts presenta un plot twist a doppio finale che ricorda molto (molto molto) quello di un altro b-movie del quale sto per fare il titolo. Sì, hai capito bene, sta per partire la barra rossa dello spoiler. Se non hai ancora visto 47 Metri, salta i prossimi righi in cerca della barretta verde. Dovrai andar giù meno di 47 metri, te lo prometto. Verricello permettendo.

[alert-warning] ATTENZIONE: spoiler sul finale di 47 Metri[/alert-warning]

L’escamotage usato da 47 Metri per chiudere il film è probabilmente più datato di quanto io creda di sapere, però in mente mi torna subito il plot twist di The Descent (2005). Nel film del nostro piccolo grande Neil Marshall un cambio di fotografia segnava chiaramente un punto di salvataggio (come nei videogiochi di un tempo), uno stacco tra realtà e allucinazione. Di più non posso dire (per non aggiungere altre due o tre barrette rosse) se non che lo stesso “trucchetto” è stato usato più di recente, in tutt’altro contesto, anche in Gravity (2013).

La fotografia di 47 Metri non ha nulla da rimproverarsi, ma poco può fare in supporto al plot twist del film, che a quanto pare ha il terrore di non farsi capire. Ad annunciare (inutilmente) cosa sta per succedere sono i dialoghi da telecronaca di cui parlavamo poco fa. È la voce del Capitano Taylor a descrivere, sin troppo nel dettaglio, il finale al quale il film sta andando incontro…

Passare a un’altra bombola aumenterà drasticamente le possibilità di narcosi da azoto. Dovrete controllarvi a vicenda molto attentamente per assicurarvi che nessuna di voi due si comporti in modo strano o abbia allucinazioni.

Tanto valeva far uscire Milly Carlucci ad annunciare la spiegazione del finale di The Descent.

By the way, Kate è da poco uscita dall’inquadratura con uno squalo sulla faccia quando Lisa, con estrema fatica, riesce a raggiungere la bombola. Nel farlo si ferisce ad una mano. Rimasta oramai senza ossigeno, monta la bombola che Taylor ha mandato giù e fa dei lunghi e profondi respiri. Eccolo qui, il punto di salvataggio dei videogiochi di un tempo. Eccola qui, la narcosi da azoto.

Il primo finale (finto)

Lisa sente la voce della sorella che inspiegabilmente, nonostante quello squalo sulla faccia, è ancora viva. Ferita sì, ma viva. È così che Lisa si trasforma in un’eroina: usando il GAV riesce a liberarsi dalla gabbia che le bloccava la gamba e parte alla ricerca di Kate. La trova usando il fascio di luce della torcia, come aveva fatto poco prima in uno dei momenti migliori del film, quando disorientata e nel buio completo, era andata a recuperare la stessa torcia per poi non ricordare da che parte fosse arrivata.

Kate è stanca, ha freddo e sanguina copiosamente, cosa che ovviamente attira ancor più i pescioloni. Ma Lisa è oramai un’eroina e niente può fermarla. Prende la sorella e le due danno inizio alla risalita armate di torcia e razzo. Il Capitano Taylor consiglia loro per l’ultima volta di rientrare nella gabbia, ma Kate è ferita e sta nuovamente per terminare l’ossigeno. A metà della risalita, dietro consiglio di Taylor, le due si fermano per evitare la formazione di emboli di azoto nel cervello.

Ed eccola qui, la sequenza più adrenalinica del film. Dopo aver consumato il primo razzo, Kate tenta di accendere il secondo, ma le sfugge. È quindi Lisa a prendere il terzo ed ultimo razzo; nell’accenderlo, nel fare nuovamente luce attorno a loro, si accorgono di essere accerchiate dagli squali. Dietro consiglio di Taylor si liberano del giubbotto da immersione e iniziano una folle corsa verso la superficie. È qui che Lisa viene addentata due volte alla gamba, ma lei è un’eroina, quindi ferisce lo squalo a mani nude e si porta in salvo, assieme a Kate, sulla barca.

Distesa sull’imbarcazione, mentre le stanno effettuando le prime medicazioni, Lisa si guarda la mano ferita. Il sangue, però, non cola…

Il secondo finale (vero)

L’inquadratura della mano sanguinante, come detto, è il punto di salvataggio.

Lisa non è mai uscita dalla gabbia, non ha mai liberato la sua gamba, non ha mai salvato Kate. Tutto quello che ha ed abbiamo visto da quando ha montato la bombola in poi non era altro che un’allucinazione dovuta alla narcosi da azoto. Tanto per cambiare, sono proprio i dialoghi a sottolineare senza alcun bisogno la situazione; è il Capitano Taylor a spiegare a Lisa, via radio, che è in preda alle allucinazioni.

Lo stesso Taylor le annuncia che la Guardia Costiera è sul luogo e che sta scendendo a prenderla. Difatti pochi istanti dopo tre tizi armati di fiocinino le liberano la gamba e la riportano verso la superficie. Mentre risale, Lisa è in lacrime perché solo allora realizza di aver perso la sorella. Ah sì, e anche di non essere un’eroina.

[alert-success] FINE SPOILER[/alert-success]

47 Metri: curiosità e possibili citazioni

Il film si apre con una ripresa subacquea, un’inquadratura mobile dal basso (che scopriremo poi essere in soggettiva) di un materassino. La scena nasconde in realtà uno scherzo di Kate ai danni di Lisa, che cadendo versa un calice pieno di vino nell’acqua della piscina. La tecnica di ripresa ed il liquido rosso versato nell’acqua sembrano un palese omaggio allo shark movie per eccellenza, Lo Squalo (1975). Nel film di zio Spielberg, però, la soggettiva era a favore di… squalo.

C’è un altro particolare narrativo, forse un po’ tirato, che mi ha portato alla memoria un’altra storia. Prima che il verricello le tradisca, Lisa e Kate sono nella gabbia a cinque metri di profondità. Kate ha avuto in prestito da uno dei ragazzi una macchina digitale subacquea che le due iniziano a manovrare. Quella pappamolla di Lisa, però, si lascia scappare dalle mani la piccola fotocamera e mentre allunga il braccio nel tentativo di riprenderla (è oramai fuori dalla gabbia) un enorme squalo manda giù il dispositivo in un sol boccone.

47 Metri: la scena della fotocamera, probabile omaggio ad Open Water

Il dettaglio della macchina digitale subacquea riporta alla mente la trama di Open Water (2003), ispirato alla storia tristemente vera di Tom ed Eileen Lonergan. Nel 1998 la coppia stava facendo un’immersione sulla Grande Barriera Corallina quando, riemersa, si accorse che la loro imbarcazione di appoggio li aveva lasciati lì, da soli. Sono state fatte molte congetture su questa storia, ma indipendentemente da queste i corpi di Tom ed Eileen non sono mai stati ritrovati. Ciò che invece venne ritrovato, due giorni dopo la “sparizione”, fu parte della loro attrezzatura su di una spiaggia a miglia e miglia di distanza dalla posizione in cui erano stati lasciati. Nel film Open Water di Chris Kentis viene tentata una ricostruzione (piuttosto fantasiosa) dei fatti, ponendo l’attenzione proprio su di una fotocamera digitale subacquea che, nel finale, viene ritrovata nello stomaco di uno squalo.

  • Sceneggiatura
  • Originalità
  • Regia
  • Fotografia
  • Recitazione
  • Cuore
3.1

in sintesi

Johannes Roberts firma un thriller che coniuga alla perfezione lo shark movie con il survival movie, nobilitando con la sua regia una sceneggiatura che, pur basandosi su idee valide, si perde nella paura di non essere compresa.
47 Metri – con Mandy Moore e Claire Holt – se per certi versi tocca il fondo (letteralmente) e sviluppa male personaggi, dialoghi e finale, per altri raggiunge delle vette di tensione altissime grazie al buon ritmo ed alla fotografia accuratissima.

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47 Metri: la scheda del film

  • Titolo originale: 47 Meters Down, In The Deep
  • Nazione: U.K.
  • Anno: 2017
  • Durata: 89 minuti
  • Regia: Johannes Roberts
  • Sceneggiatura: Johannes Roberts ed Ernest Riera
  • Fotografia: Mark Silk
  • Montaggio: Martin Brinkler
  • Musiche: tomandandy
  • Cast: Mandy Moore, Claire Holt, Matthew Modine, Santiago Segura, Yani Gellman e Chris J. Johnson
  • Genere: thriller, horror,  pescioloni
  • Data d’uscita italiana: 25 maggio 2017
  • Se ti piace guarda anche: Lo Squalo (1975), Open Water (2003), Paradise Beach – Dentro l’Incubo (2016)
  • Trailer ITA:

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10 Comments

  1. Mr. Ink 05/06/2017
    • StepHania Loop 08/06/2017
  2. Cassidy 05/06/2017
    • StepHania Loop 08/06/2017
  3. Pietro Sabatelli 06/06/2017
    • StepHania Loop 08/06/2017
  4. Cumbrugliume 06/06/2017
    • StepHania Loop 08/06/2017
  5. Vanessa 15/06/2017
  6. Giampaolo 27/06/2017

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